8 Febbraio 2019

I conti correnti dei terzi nel mirino del Fisco

di Gianfranco AnticoMassimo Conigliaro
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Anche i conti correnti intestati a terzi possono essere acquisiti dal Fisco ai fini del controllo nei confronti del soggetto sottoposto ad indagini finanziarie, a condizione che tali rapporti bancari siano nella disponibilità del contribuente.

Questo principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione anche con l’ordinanza n. 32974 del 20.12.2018, che, dopo aver rilevato che il dettato normativo di riferimento non limita l’acquisizione della documentazione ai soli conti bancari formalmente intestati al contribuente accertato, ha precisato che l’acquisizione della documentazione bancaria può estendersi anche ai conti correnti intestati a terzi soggetti. Tuttavia, ciò è possibile a condizione che, pur in mancanza della formale titolarità, il conto sia nella disponibilità di fatto del contribuente sottoposto a verifica fiscale.

In effetti, già con l’ordinanza n. 15875 del 15.06.2018, la Corte di Cassazione aveva confermato che  in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 37, comma 3, D.P.R. 600/1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie di conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.

Solo in presenza  della formale intestazione ovvero della disponibilità di fatto del conto, il cui onere probatorio compete all’Ufficio, diviene operante la presunzione legale stabilita dall’articolo 32, comma 1, n. 2), D.P.R. 600/1973 secondo cui “gli importi riscossi” (versamenti), rilevati sui conti intestati o riconducibili di fatto al contribuente, devono essere considerati “compensi” dell’attività di lavoro autonomo svolta dall’interessato, con spostamento dell’onere probatorio sul contribuente al quale spetta fornire la prova contraria alla presunzione, dimostrando che si tratta di somme comprese nella determinazione del reddito o che non hanno rilevanza reddituale.

In altri termini, in caso di conti bancari di cui sia formalmente titolare il contribuente accertato la presunzione che gli “importi riscossi” siano compensi è immediatamente applicabile; nel caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a terzi sia nelle effettiva disponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni del conto fiscalmente rilevanti.

In tal senso si sono espresse più pronunce della Corte, evidenziando che le indagini bancarie possono riguardare anche conti di terzi quando l’Ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, ritenuti congrui dal giudice di merito, che tali conti e depositi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali a scopo di evasione fiscale (Cassazione, n. 374/2009).

Anche l’esistenza di stretti vincoli familiari (compreso il rapporto di coniugio) tra il contribuente accertato ed il terzo titolare del conto, per assurgere a prova presuntiva qualificata delle riferibilità, in tutto o in parte, al contribuente accertato delle movimentazioni del conto corrente intestato al familiare, deve essere accompagnata dalla indicazioni di altri elementi, il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettuale del contribuente accertato.

La possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è comunque strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, rapporti di parentela, ecc.) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento.

Come rilevato dalla Guardia di Finanza nel circolare n. 1/2018, nel caso di rapporti finanziari intestati a terzi e di cui il contribuente sottoposto a controllo non sia cointestatario o non abbia delega ad operare, l’onere della prova si declina in maniera differente.

In via generale, compete all’Amministrazione finanziaria soddisfare tale onere, anche mediante presunzioni, con uno standard probatorio tanto maggiore quanto più tenue è il rapporto familiare/di colleganza tra il contribuente (persona fisica/giuridica) ed il terzo.  Laddove sia stata dimostrata, anche in via presuntiva, la fittizia interposizione soggettiva, è sempre onere del contribuente provare l’estraneità delle operazioni all’attività economica svolta (Cassazione, n. 17390/2010).

Dalla verifica fiscale al contenzioso tributario