I contratti a canone concordato: è utile richiamare la convenzione?
di Leonardo PietrobonÈ noto che, secondo quanto stabilito dall’articolo 2, comma 1 L. n. 431/1998, i contratti di locazione per gli immobili abitativi possono essere stipulati in forma libera con un vincolo di durata di 4 anni, prorogabile di altri 4 anni (4+4), motivo per cui assumo la denominazione di “contratti a canone libero”, oppure, in alternativa, in base alle disposizioni di cui al successivo comma 3 della stessa disposizione normativa, secondo cui è possibile stipulare contratti “convenzionati” (o concordati) nei quali la durata è di 3 anni, prorogabile di altri 2 anni (3+2).
Sotto il profilo sostanziale, si tratta di un contratto-tipo definito sulla base di accordi locali negoziati tra le organizzazioni della proprietà e degli inquilini (tali accordi derivano dalla convenzione quadro a livello nazionale di cui al Decreto Interministeriale 30.12.2002). In particolare gli accordi locali determinano un valore minimo e massimo del canone, in base ad una serie di parametri tra i quali la tipologia, lo stato di manutenzione dell’alloggio, gli spazi comuni, eccetera. Possono essere individuati canoni differenziati per zone omogenee del territorio comunale. Le parti determinano il canone all’interno di tali valori. Generalmente il contenuto degli accordi sottoscritti a livello territoriale è reperibile sul sito internet del Comune interessato.
In mancanza degli accordi locali è possibile utilizzare l’accordo di un Comune limitrofo demograficamente simile. Se invece gli accordi non sono aggiornati al D.M. 30.12.2002 devono essere adeguate le fasce di oscillazione in base all’intera variazione ISTAT.
Nell’ambito applicativo delle agevolazioni previste dall’articolo 8 della legge n. 431/1998, rientrano unicamente le unità immobiliari concesse in locazione a canone convenzionale sulla base di appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale situate nei comuni di cui all’articolo 1 del decreto legge 30.12.1988, n. 551. In particolare, si tratta degli immobili situati:
- nei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia, nonché nei comuni confinanti con gli stessi;
- negli altri comuni capoluoghi di provincia;
- nei comuni di cui alla delibera CIPE 13.11.2003, pubblicata nella G.U. n. 40 del 18.2.2004, non compresi nei punti precedenti;
- nei comuni della Campania e della Basilicata colpiti dagli eventi tellurici dei primi anni ottanta.
L’aspetto “principale” del contratto concordato è rappresentato, quindi, dalla convenzione stabilita a livello comunale. La questione a questo punto è stabilire se tale accordo deve essere richiamato nel corpo del contratto di locazione o se, in modo estremamente semplice, è sufficiente assumere un “comportamento” contrattuale identico a quello dei contratti liberi, in cui le parti generalmente si limitano a richiamare l’importo del canone di locazione.
La soluzione a tale problematica è da ricercarsi prevalentemente negli effetti fiscali di un contratto di locazione, sia per quanto concerne la registrazione del contratto e sia per quanto riguarda gli aspetti dichiarativi.
I contratti convenzionati o a canone concordato godono di particolari agevolazioni fiscali che sono riconosciute al locatore, quali:
- nel caso di tassazione ordinaria, il reddito imponibile, individuato quale maggiore importo tra canone di locazione (ridotto del 5%) e la rendita catastale rivalutata del 5%, è ridotto del 30%;
- nel caso di applicazione del regime della cedolare secca, l’aliquota di tassazione è stabilita nella misura del 10% (dal 2018 nella misura del 15), anziché quella ordinaria del 21%.
Le agevolazioni all’inquilino per l’abitazione principale (detrazione pari a € 496/248 fino a un reddito complessivo di € 15.494/30.987) spettano invece a prescindere dal comune di ubicazione dell’immobile.
Oltre all’individuazione della collocazione dell’immobile ciò che appare utile quindi per una corretta imposizione è l’indicazione nel contratto di locazione della convenzione locale, al fine di avere un immediato riscontro circa la corretta determinazione del canone di locazione e di conseguenza della legittima spettanza delle “agevolazioni” fiscali” di cui sopra.
A mero titolo esemplificativo, si ritiene che una dicitura nel contratto di locazione come di seguito riportata, oltre che all’eventuale allegazione della convenzione locale, possa essere un’ottima ed immediata soluzione agli eventuali dubbi che potrebbero sorgere:
– ipotesi a): “Il canone annuo di locazione, secondo quanto stabilito dall’Accordo locale definito tra ………………………………………………… e depositato il …………. presso il Comune di ………………………………………. , è convenuto in euro ………………….. , che il conduttore si obbliga a corrispondere nel domicilio del locatore ovvero a mezzo di bonifico bancario, ovvero………………………….., in n. ……… rate eguali anticipate di euro ……………… ciascuna, alle seguenti date: …………………………………………………
Nel caso in cui l’Accordo territoriale di cui al presente punto lo preveda, il canone viene aggiornato ogni anno nella misura contrattata del ……………, che comunque non può superare il 75% della variazione Istat”;
– ipotesi b): “il canone annuo di locazione, secondo quanto stabilito dal decreto di cui all’articolo 4, comma 3, della legge n. 431/1998, è convenuto in euro ………………………., importo che il conduttore si obbliga a corrispondere nel domicilio del locatore ovvero a mezzo di bonifico bancario, ovvero…………………………….., in n. ……… rate eguali anticipate di euro ……………………ciascuna, alle seguenti date ………………………………..….
Nel caso in cui nel predetto decreto sia previsto, il canone è aggiornato annualmente nella misura contrattata del ……………, che comunque non può superare il 75% della variazione Istat”.