I controlli antifrode sui propri fornitori – parte 1
di Roberto CurcuPiù di un anno fa, su queste pagine, si segnalava la presenza di avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti di imprese che hanno ricevuto delle fatture da fornitori nazionali che si sono resi inadempienti del versamento dell’Iva incassata, dove viene contestata la detraibilità dell’Iva di tali fatture.
Le situazioni per le quali una impresa può essere chiamata a versare l’Iva evasa dal proprio fornitore sono molteplici e riguardano, in genere, operazioni di frode che commettono questi fornitori, talvolta con la complicità dell’impresa cliente che, poi, si vede contestata l’indetraibilità dell’Iva. Quando viene accertato che la detrazione dell’Iva è stata effettuata su operazioni per le quali il soggetto passivo era complice (o anche consapevole) della frode Iva del proprio fornitore, i rilievi dell’Agenzia delle entrate sono inattaccabili. È, infatti, consolidata la giurisprudenza comunitaria nello stabilire che la detrazione Iva deve essere negata a colui che sapeva che le operazioni economiche della sua azienda erano coinvolte in una frode. Sul punto, la Corte di Giustizia UE ha statuito, tuttavia, che gli elementi che devono essere portati a dimostrazione che il cliente sapeva della frode del proprio fornitore devono essere oggettivi e non supposizioni, posto che il ricorso alle stesse avrebbero l’effetto di violare direttamente l’efficacia del diritto dell’Unione. Numerose sono le sentenze della Corte di giustizia Europea che “bocciano” le presunzioni di consapevolezza delle frodi dei fornitori.
Il problema più delicato è che per la giurisprudenza comunitaria la detrazione dell’Iva può essere contestata anche a colui che, con la ordinaria diligenza, avrebbe potuto sapere di essere coinvolto in una frode. In particolare, la Corte di Giustizia ha statuito che la detrazione dell’Iva può essere negata ad un soggetto passivo “qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che questi (…) avrebbe dovuto sapere che (…) partecipava a un’operazione che si iscriveva in una evasione commessa dal fornitore (…).
La Corte di Giustizia, come sappiamo, è un organo deputato ad interpretare le disposizioni della normativa Europea, e non certo un giudice di merito, che può decidere di volta in volta se un soggetto passivo avrebbe, o non avrebbe, dovuto sapere che il proprio fornitore stava frodando l’Iva; tuttavia, le sentenze della Corte di Giustizia Europea stanno mettendo freno a comportamenti un po’ troppo “disinvolti” delle Amministrazioni finanziarie europee che contestano l’evasione Iva al cliente, piuttosto che al vero evasore; in particolare, la Corte ha statuito che non è possibile istituire un sistema di responsabilità oggettiva del cliente per le frodi del fornitore, e che non è possibile imporre al cliente di compiere controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore, trasferendo di fatto su di esso gli atti di controllo incombenti sull’Amministrazione finanziaria.
Quindi, che tipi di controlli vanno fatti? In particolare, “l’autorità tributaria non può esigere in maniera generale che il soggetto passivo il quale intende esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA, da un lato – al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte – verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o, dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo”. Tuttavia, “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di un’evasione, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”.
Una ottima conclusione di concetti (emersi più volte nelle Sentenze della Corte di Giustizia UE) è il punto 52 della Sentenza Aquila Part Prod Com SA, Causa C-512/21, secondo cui “Ne consegue che la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non partecipi ad un’operazione che si iscrive in una frode commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità odi una frode. Pertanto, in presenza di indizi di una frode, ci si può attendere una maggiore diligenza dal soggetto passivo. Tuttavia, non si può esigere da quest’ultimo che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare”.
Riassumendo, sono da cassare gli avvisi di accertamento che, con semplici presunzioni, pretendono di dimostrare che un soggetto passivo era consapevole della frode del proprio fornitore, così come quelli che pretenderebbero dal soggetto passivo controlli troppo complessi sui propri fornitori.
La linea di confine che andrà tracciata, nel merito, è l’eventuale assenza di controlli sui fornitori, che se effettuati avrebbero permesso al soggetto passivo di capire che il proprio fornitore avrebbe evaso l’Iva addebitata sulla fattura; guardando bene la giurisprudenza della Corte di Giustizia, capiamo che vi sono delle verifiche “base”, che vanno effettuate su tutti i fornitori, e delle verifiche “ulteriori” (ma non troppo “complesse e approfondite”) che vanno fatte solo qualora dalle verifiche base siano emersi degli indizi di frode del proprio fornitore.
In un prossimo contributo cercheremo di proporre alcuni esempi.