I controlli sull’esportatore abituale
di Roberto CurcuGentile contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha svolto dei controlli nei confronti dei soggetti che risultano aver emesso nei Suoi confronti dichiarazioni di intento per l’anno in corso … e le dichiarazioni di intento che ha ricevuto sono ideologicamente false.
Questo, in sintesi, è il riassunto delle prime cinque righe di una PEC che qualche contribuente ha ricevuto dall’Agenzia delle entrate, la quale – a fine 2023 – stava facendo controlli sulla possibile falsità delle dichiarazioni di intento dello stesso anno.
Come mai arrivano comunicazioni di questo tipo? Facciamo un passo indietro.
Correva l’anno 2020 ed il legislatore, con l’articolo 1, commi da 1079 a 1083, L. 178/2020, ordinava all’Amministrazione finanziaria:
- di rafforzare il contrasto alle frodi realizzate mediante l’utilizzo del falso plafond Iva, effettuando specifiche analisi di rischio, al fine di impedire, al contribuente “pizzicato” ad emettere tali false dichiarazioni, di emetterne altre, ovvero di emettere fatture elettroniche recanti l’indicazione del titolo di non imponibilità e del numero di protocollo di una lettera di intento invalidata;
- di individuare le modalità operative per l’invalidazione delle lettere di intento già emesse e per l’inibizione di nuove lettere di intento.
Nell’ottobre del 2021, l’Agenzia delle entrate pubblicava il Provvedimento direttoriale n. 293390, che avrebbe dovuto avere decorrenza 1.1.2022, con il quale dava attuazione alla norma. In particolare, stabiliva che i soggetti che emettono dichiarazioni di intento sono sottoposti a specifiche procedure di analisi di rischio e controllo, ed in caso di esito positivo “le dichiarazione d’intento emesse illegittimamente sono invalidate e rese irregolari al riscontro telematico dell’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento”. Contestualmente, l’Agenzia delle entrate invia, a mezzo PEC, apposita comunicazione al soggetto emittente ed al soggetto ricevente. Dopo aver previsto che al soggetto pizzicato ad emettere dichiarazioni di intento irregolari è pregiudicata la possibilità di emettere nuove dichiarazioni, stabiliva che:
- il numero di protocollo della dichiarazione di intento doveva essere indicato nel campo 2.2.1.16.2 del file xml della fattura elettronica;
- “l’invalidazione della dichiarazione d’intento (…) comporta lo scarto della fattura elettronica trasmessa al Sistema di Interscambio (SdI)”.
Torniamo al presente, ed alla comunicazione che ha inviato l’Agenzia delle entrate, la quale prosegue con un “invito” ad interrompere o ad evitare per l’anno in corso di emettere fatture senza Iva, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera c), D.P.R. 633/1972, nei confronti di tali soggetti. Tali comunicazioni non dovrebbero più arrivare – o per lo meno non dovrebbero più contenere un invito di tale tipo – considerato che il prossimo 1.2.2024 entreranno in vigore le specifiche tecniche della fattura elettronica in versione 1.9 le quali prevedono, quale novità, l’introduzione del codice 00477 per lo scarto delle fatture con dichiarazione di intento invalidata. In sostanza, dal prossimo 1.2.2024 dovrebbe essere completato quello che il legislatore chiese nel 2020, e cioè lo scarto delle fatture che contengono numeri di dichiarazioni di intento invalidate, in modo da “disinnescare con immediatezza la condotta fraudolenta perpetrata” (in questo senso la relazione di accompagnamento alla legge). Questo dovrebbe anche far stare più tranquillo il contribuente non solito a leggere con tempestività le PEC.
Dal primo febbraio 2024, quindi, sarà possibile emettere fatture non imponibili nei confronti di tutti gli esportatori abituali, senza fare alcun controllo? Tanto gli stessi li fa l’Agenzia delle entrate… A parere di chi scrive no, per quella che è la giurisprudenza UE.
In numerose sentenze della Corte di Giustizia UE è emerso, infatti, che i benefici Iva (ad esempio applicare un titolo di esenzione o semplicemente detrarre l’Iva sugli acquisti) possono essere negati al soggetto passivo, quando egli sapeva (o avrebbe dovuto sapere) che partecipava a un’operazione che si iscriveva in una evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni.
Oltre a cercare di contrastare i falsi esportatori, l’Agenzia delle entrate è ben consapevole che – persa l’imposta che questi sono riusciti a frodare – potrebbero recuperare la stessa sui loro fornitori che, non avendo adottato una buona diligenza, hanno partecipato ad una operazione che si iscriveva in una frode di un operatore a valle nella catena delle cessioni, e pertanto, nelle comunicazioni che inviano, avvisano lo stesso fornitore che “la provata falsità della lettera d’intento comporta il recupero dell’IVA (…) e delle relative sanzioni sul cedente in quanto direttamente e consapevolmente partecipe ad una operazione fraudolenta”, citando una serie di sentenze di Cassazione ed invitando il contribuente a valutare se non abbia senso assoggettare ora per allora le operazioni ad Iva (che difficilmente si riuscirebbe ad incassare dal “falso esportatore”) e tacitamente ad effettuare un ravvedimento delle sanzioni.
Ora, nella comunicazione non è indicato che – da giurisprudenza Unionale – la diretta e/o consapevole partecipazione del fornitore ad una operazione fraudolenta deve essere provata con “elementi oggettivi”.
La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha statuito che:
- la diligenza che si può richiedere al contribuente deve essere “ragionevole”;
- l’obbligo in capo al contribuente di assumere informazioni su un altro soggetto ricorre quando sussistono indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione.
Infine, la stessa Corte statuisce che “l’amministrazione finanziaria non può imporre a un soggetto passivo di compiere controlli complessi e approfonditi relativi al suo fornitore, trasferendo di fatto su di esso gli atti di controllo incombenti all’amministrazione stessa”.