I dubbi ancora irrisolti della legge 398/91
di Guido MartinelliVi è dire che la disciplina della legge 16 dicembre 1991 n. 398, in origine disposta in favore solo delle associazioni sportive dilettantistiche, in seguito allargata a tutte le associazioni senza scopo di lucro, già oggetto di alcune nostre riflessioni (vedi ecnews del 14.01.2015) e di richieste di chiarimenti interpretativi, continua a nascondere, al suo interno, dopo quasi 25 anni dalla sua approvazione, ancora alcuni ulteriori punti oscuri.
Innanzitutto il riferimento, effettuato dall’art. 9 bis della legge 66/1992 alle associazioni senza scopo di lucro e non, come pure sarebbe stato logico, agli enti non commerciali, porta a ritenere che una associazione senza scopo di lucro che abbia perso, ai sensi dell’art. 149 Tuir, il requisito di ente non commerciale, possa continuare ad utilizzare tale disciplina agevolativa. Tale indicazione sembra indirettamente confermata anche dal primo comma dell’art. 90 della legge 289/02 che ne prevede l’applicazione anche in favore delle società di capitali sportive dilettantistiche, enti commerciali per natura e per espressa documentazione di prassi amministrativa (circ. 21/2003).
Pertanto si ritiene di poter affermare (ma ovviamente sarebbe auspicabile una presa di posizione da parte della Agenzia delle Entrate) che un ente commerciale senza scopo di lucro costituito in forma associativa possa applicare la legge 398/91.
La circostanza, poi, che il legislatore, dopo averne ampliato il campo di applicazione a tutte le associazioni senza scopo di lucro, abbia specificato anche che si applica alle pro loco (con la norma citata) e alle “associazioni bandistiche e cori amatoriali, filodrammatiche, di musica e danza popolare legalmente riconosciute senza fini di lucro” (art. 2 comma 31 legge 350/2003) porta a ritenere che un ente non costituito su base associativa (fondazione o comitato) che pur sia senza scopo di lucro ma non rientri tra quelli definibili pro loco, bande, cori o filodrammatiche non possa applicare la legge 398/91.
Ma veniamo ad un altro aspetto sul quale, fino ad oggi, poco si è indagato.
La disposizione in esame chiarisce in maniera inequivocabile (art. 2 comma 5) che il reddito imponibile dei soggetti che hanno optato per l’applicazione di tale legge, in deroga alle disposizioni del Tuir, si determina applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività del 3 per cento e aggiungendo le plusvalenze patrimoniali.
Analogamente chiarisce (art. 2 comma 1) che i soggetti che hanno esercitato l’opzione sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili prescritti dagli articoli 14, 15, 16, 18 e 20 del d.P.R. 600/73.
Concentriamoci allora su come potranno essere determinate le plusvalenze patrimoniali che comunque contribuiscono a determinare il reddito dei soggetti in 398/91.
Ci soccorre l’art. 86 del Tuir che riporta al suo secondo comma: “la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito al netto degli oneri accessori di diretta imputazione e il costo non ammortizzato …”.
Ma come si potrà correttamente determinare tale plusvalenza ove non si attivasse il registro dei beni ammortizzabili previsto espressamente dall’art. 16 del d.P.R. 600/73 e di cui la legge 398/91 contempla espressamente l’esonero?
E il caso appare meno infrequente di quanto si possa pensare. Si ricorda che l’art. 4 della stessa legge 398/91 prevede espressamente che la cessione dei diritti sulle prestazioni sportive degli atleti sia soggetta ad IVA. Ne deriva, quindi, che l’importo in questione costituisca anche componente positivo di reddito ai fini delle imposte dirette.
Pertanto l’eventuale cessione di un atleta potrebbe, astrattamente, costituire una plusvalenza. E se l’associazione interessata non avesse provveduto ad “ammortizzare” il costo di acquisizione, l’intero valore portato in fattura sarebbe da assoggettare ad imposizione senza neanche potersi avvalere del coefficiente di redditività del 3%.
Non può che derivarne, quindi l’opportunità che le associazioni che optino per la legge 398/91 comunque attivino un registro dei beni ammortizzabili, in specie se trattasi di associazioni sportive che svolgono un frequente interscambio di atleti.
Mi sia consentito di ricordare, in conclusione, un altro aspetto, nella prassi spesso dimenticato. Il contributo erogato da un ente pubblico ad una associazione, se destinato ad una attività di natura commerciale ed assoggettato alla ritenuta del 4% prevista e disciplinata dall’art. 28 del d.P.R. 600/73, ha natura imponibile per chi lo riceve.
Pertanto farà cumulo con gli altri redditi imponibili conseguiti dalla associazione anche ai fini della determinazione del plafond di 250.000 euro di ricavi necessario per non uscire dal regime agevolato.