I fabbricati da demolire non sono aree
di Giovanni Valcarenghi
Gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, molto spesso, aggrediscono le transazioni aventi ad oggetto dei fabbricati qualora l’acquirente provveda alla loro demolizione per nuovi utilizzi edificatori. L’intento appare evidente: la cessione di un fabbricato potrebbe non generare alcuna plusvalenza (si pensi alla cessione ultraquinquennale), mentre la cessione di un’area edificabile (normalmente plusvalenze) genera sempre materia tassabile. Al riguardo, riteniamo utile segnalare la sentenza della CTP di Cremona (n. 45 del 3 maggio 2013), nella quale si ritrova affermato un principio che potrebbe risultare utile per interrompere quel filone giurisprudenziale che, invero, vede quasi sempre vittoriosa l’Amministrazione Finanziaria.
Il caso oggetto di controversia riguarda la vendita di un immobile, in relazione al quale i cedenti avevano ottenuto, in data antecedente al trasferimento della proprietà, l’autorizzazione a demolire e ricostruire, con ampliamento delle cubature. Nella dichiarazione del cedente, si presume, nulla fu dichiarato, mentre, a parere dell’Agenzia delle Entrate, si sarebbe dovuta esporre la plusvalenza derivante dal trasferimento di fatto avente ad oggetto una area edificabile. Per corroborare la contestazione, l’Ufficio ha prodotto (peraltro tardivamente) la documentazione amministrativa attestante proprio l’autorizzazione comunale alla effettuazione dei suddetti lavori, ed ha incentrato la propria difesa sul fatto che fosse già presente l’intenzione del cedente di effettuare i descritti interventi urbanistici.
Il parere dei Giudici di merito, tuttavia, non collima con la ricostruzione operata dall’Agenzia, per una serie di motivazioni che vengono specificamente elencate ed hanno un pregio generale, in quanto si ritrovano in quasi tutte le casistiche che normalmente ritroviamo sulla scrivania dei nostri studi.
In primo luogo, osserva la Commissione, oggetto del trasferimento è un immobile e non un’area, e ciò si evince dalla mera lettura del rogito notarile e dal fatto che nessuna delle parti ne ha contestato l’esistenza; al riguardo, la circostanza viene valutata anche nel mondo tributario ai fini della corretta applicazione del trattamento ai fini delle imposte indirette e, pur tuttavia, la questione perde “stranamente” di dignità quando ci si sposta sul versante della tassazione diretta, tollerandosi, di fatto, una unica operazione con differente trattamento tributario a seconda del comparto che si prende in analisi (e, questa circostanza, basterebbe di per sé a far comprendere la bizzarra conclusione cui giunge l’Agenzia).
Il cedente, per altro verso, ha dimostrato documentalmente che, al momento della vendita, l’immobile era un fabbricato di buon pregio, mediante una apposita relazione tecnica depositata agli atti. Inoltre, è stato altresì provato che il fabbricato era ancora parzialmente abitato al momento della vendita, mentre altri soggetti lo avevano da poco liberato nelle settimane e nei mesi che hanno preceduto il rogito. Tale circostanza, pertanto, nell’ottica dei Giudici avvalora la tesi che oggetto della transazione fosse, appunto, un fabbricato e non un’area, poiché quest’ultima non potrebbe certo essere abitata.
La circostanza dell’esistenza di un valore economico (il fabbricato non era un rudere, non era fatiscente) serve ad affermare che la transazione ha avuto per oggetto un fabbricato, a nulla rilevando il fatto che l’acquirente abbia inteso realizzare l’affare già con l’intenzione di radere al suolo la costruzione e realizzarne una nuova.
Infine, la Commissione si sofferma anche sull’autorizzazione alla demolizione, con conseguente ricostruzione con ampliamento di cubatura. Con una riflessione tecnica che appare altamente appagante, si osserva, infatti, che l’autorizzazione amministrativa all’ampliamento di cubatura presuppone l’esistenza di un fabbricato che, per l’appunto, potrà essere ampliato, sia pure mediante una completa ricostruzione. Diversamente, se si fosse trattato di un’area, la concessione avrebbe riguardato una nuova costruzione e non un ampliamento.
In conclusione, dunque, nel caso specifico, si osserva che l’accertamento appare contrario non solo al contenuto letterale dell’atto di vendita, ma anche – e soprattutto – all’oggetto concreto del contratto. Volendo generalizzare le conclusioni, potremmo dire che casi simili a quello trattato, vale a dire la cessione di fabbricati ancora realmente esistenti in quanto tali (non fatiscenti, meglio ancora se abitati sino all’atto di trasferimento), non dovrebbero determinare problemi di riqualificazione della plusvalenza, a prescindere dal fatto che sia già stato autorizzato un intervento edilizio sull’area. Diversamente, invece, pare che la situazione muti drasticamente ove il fabbricato sia esistente solo a livello catastale, ma nei fatti sia esclusivamente già assimilabile ad “un cumulo di macerie”. Si perdonerà il paragone forzato, ma si crede che il medesimo ben evochi la cessione di “un’area sporca” e non certo di un fabbricato.