I minimi “entrano” nel MOSS
di Alessandro BonuzziIl contribuente minimo che effettua una prestazione di commercio elettronico diretto (cd. “servizi di e-commerce) a un privato consumatore comunitario (cd. B2C) deve assolvere l’Iva relativa all’operazione identificandosi nello Stato membro in cui il cliente è stabilito oppure, in alternativa, avvalendosi del regime MOSS. Lo ha chiarito la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.75/E di ieri.
Si ricorda che a decorrere dal 1° gennaio 2015 le prestazioni di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici rese nei confronti di privati consumatori sono soggette ad Iva nel paese ove il committente è stabilito ovvero ha il domicilio o la residenza, con conseguente rilievo dell’operazione nel paese di destinazione della stessa.
Pertanto, qualora un operatore nazionale presti un servizio di e-commerce diretto nei confronti di un committente non soggetto passivo d’imposta comunitario, egli tenuto ad assolvere l’Iva relativa all’operazione resa nello Stato membro del cliente. È possibile adempiere a tale onere:
- identificandosi nel Paese Ue oppure, in alternativa,
- avvalendosi del regime MOSS (Mini One Stop Shop), come previsto dall’art.74-sexies del d.P.R. n.633/72.
In particolare, il MOSS consente ai soggetti passivi stabiliti in Italia di adempiere i relativi obblighi Iva senza doversi identificare nei vari Paesi Ue ove i committenti privati hanno la propria residenza.
L’operatore italiano aderisce a tale regime registrandosi in un apposito portale, con una specifica procedura on line, attraverso il quale trasmette telematicamente le dichiarazioni Iva trimestrali e provvede al versamento dell’imposta dovuta. Spetta poi allo Stato di identificazione – l’Italia – il compito di ripartire l’Iva tra i singoli Paesi membri di consumo, proprio sulla base dei dati indicati nelle dichiarazioni trasmesse.
La risoluzione in commento ha ad oggetto il caso in cui il prestatore nazionale esercita l’attività di commercio elettronico diretto nei confronti di clienti privati Ue – inglesi – applicando il regime fiscale di vantaggio di cui all’art.27, commi 1 e 2, del D.L. n.98/2011, nell’ambito del quale le operazioni interne rimangono fuori dal campo di applicazione dell’Iva. Preso atto delle modifiche normative intervenute, l’istante chiede se per tali prestazioni si debba “applicare l’Iva con aliquota vigente in Inghilterra oppure sono operazioni non soggette ad Iva”.
A parere dell’Agenzia, in assenza di un’espressa disciplina nel regime di vantaggio, trova applicazione quanto stabilito sul punto con riferimento al nuovo regime forfetario introdotto dall’art.1, comma 56 e seguenti, della L. n.190/2014 (legge di stabilità 2015), essendo i due regimi in questione analoghi sotto diversi aspetti.
In particolare, l’art.1, comma 58, lett. d) della citata legge prevede che “Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, i contribuenti di cui al comma 54 … applicano alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti non residenti o rese ai medesimi gli articoli 7-ter e seguenti del d.P.R. n.633, e successive modificazioni”.
Da ciò deriva l’interpretazione secondo cui le prestazioni di servizi di e-commerce diretto rese ad un soggetto comunitario da un contribuente minimo (come anche da un soggetto aderente al regime forfetario) rimangono soggette alle ordinarie regole di territorialità di cui alle disposizioni recate dagli artt. 7-ter e seguenti del decreto Iva e la relativa imposta è assolta:
- nei rapporti B2B, dal committente nel proprio Paese, essendo l’operazione fuori campo Iva in Italia;
- nei rapporti B2C, come quelli oggetto della risoluzione, dal prestatore attraverso l’identificazione nel Paese Ue in cui si considerano effettuati tali servizi (Inghilterra) oppure, alternativamente, avvalendosi del regime MOSS che permette di mantenere un’unica posizione Iva.
Devono, pertanto, ritenersi superate le indicazioni fornite in via interpretativa con la circolare n.36/E/2010.