I nuovi lavoratori sportivi – prima parte
di Guido MartinelliL’articolo 5, L. 86/2019 (Legge delega della riforma sportiva), nel delineare la nuova figura del lavoratore sportivo precisa che la disciplina relativa dovrà garantire: “l’osservanza dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico e di assicurare la stabilità e la sostenibilità del sistema dello sport”.
Successivamente introduce il concetto della “specificità” del lavoro sportivo. (…c) Individuazione … nell’ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma della figura del lavoratore sportivo ivi compresa la figura del direttore di gara senza alcuna distinzione di genere indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta …»)
Questo conduce ad una prima riflessione: il rapporto di lavoro sportivo ha i medesimi contenuti giuridici sia se svolto in forma dilettantistica che in forma professionistica.
Detto concetto viene anche ripreso dall’articolo 25, D.Lgs. 36/2021 che, al comma uno bis, recita: «…La disciplina del lavoro sportivo è posta a tutela della dignità dei lavoratori nel rispetto del principio di specificità dello sport…»
Ma cosa si deve intendere per specificità dello sport?
La circostanza che il comma 2 del medesimo articolo riporta che il lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato (o di un rapporto di lavoro autonomo) porta ad escludere la tesi interpretativa esposta nella circolare n. 1/2016 dell’Ispettorato nazionale del lavoro, secondo la quale “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo-dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro …”.
La scelta di non condividere il parere dell’Ispettorato nazionale del lavoro ha portato, come sua logica conseguenza, l’abrogazione, a far data dallo scorso 30.6.2023, della parte dell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, relativa ai compensi sportivi.
Per potere rispondere alla domanda dobbiamo considerare un altro aspetto. Chi opera nello sport a titolo oneroso lo fa, spesso e volentieri, “anche” per passione. Quindi la componente sinallagmatica del rapporto di lavoro è parzialmente coperta dal piacere che lo stesso lavoratore riceve nello svolgimento della prestazione sportiva. Questo lo induce ad accettare determinati rischi (il c.d. rischio consentito che si assumono gli sportivi che svolgono, ad esempio, sport qualificabili come attività pericolosa) o l’accettazione di una eterodirezione da parte, ad esempio, dell’allenatore o del maestro, che ha presupposti diversi di quella in essere tra il titolare di una azienda e i suoi dipendenti.
Questo ha portato il legislatore a fissare, per l’atleta professionista, delle presunzioni di lavoro subordinato e, al contrario, per l’atleta dilettante, delle presunzioni di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (che definiscono il profilo strettamente giuslavoristico), a cui si aggiungono anche determinate agevolazioni fiscali e contributive, per garantire il principio legislativamente previsto della sostenibilità.
Quindi perché vi sia lavoro sportivo occorre che sia svolto nell’ambito dell’ordinamento sportivo. Ciò significa che i lavoratori sportivi, tutti, dovranno essere soggetti di questo ordinamento (e lo si diventa con il tesseramento) e altrettanto lo dovranno essere i committenti (altri tesserati o soggetti riconosciuti dall’ordinamento sportivo quali Asd, Ssd, federazioni ed enti di promozione sportiva, Coni, Cip e sport e salute). La prestazione dovrà, inoltre, essere di carattere “infungibile”, ossia esclusivamente di prestazione sportiva riconosciuta come tale.
Ne deriva che altre prestazioni collegate con il mondo dello sport (ad esempio, in ordine sparso, medici, fisioterapisti, custodi, manutentori, magazzinieri, cassiere, addetti al marketing o alla comunicazione) non potranno mai essere lavoratori sportivi, in quanto la medesima loro prestazione potrebbe liberamente essere svolta in realtà non sportive e per le quali, pertanto, non appare possibile presumere la componente “passione”.
Questo non significa che per queste mansioni non possa essere riconosciuto un compenso: significa solo che per inquadrare questo rapporto non si potrà fare riferimento alla “specificità” dello sport, ma esclusivamente alla disciplina generale del codice civile.
Si continua a leggere, anche da parte di autorevole dottrina, che per il mondo dilettantistico sarebbe stato preferibile fare una scelta univoca sotto il profilo dell’inquadramento lavoristico.
Con ciò dimenticando un principio fondamentale legato alla indisponibilità del rapporto di lavoro, così come affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza 29973/2022, ha affermato che:
“.. al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione si accompagna (Corte costituzionale sentenza n. 76/2015, sentenza n. 115/ 1994 e sentenza n. 121/ 1993). Ne deriva, quale conseguenza ineludibile “l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali” (Cassazione n. 76/2015 cit. punto 8 del considerato in diritto), la cui mancata applicazione avrebbe comportato un grave vizio di incostituzionalità nella norma.