24 Dicembre 2021

I problemi finanziari dell’e-commerce

di Roberto Curcu
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Se non gestita in modo “smart”, la vendita su internet rischia di portare a pesanti situazione creditorie di Iva verso lo Stato italiano.

Ovviamente, le situazioni creditorie si generano quando è stata pagata Iva sugli acquisti. Ed ovviamente, le situazioni creditorie si generano quando le vendite avvengono senza Iva (italiana) nei confronti dei propri clienti.

Come in tutte le situazioni in cui si scambiano beni mobili materiali, ai fini Iva i ragionamenti devono sempre partire individuando il luogo di partenza e quello di arrivo dei beni. Quando il luogo di partenza dei beni è l’Italia, ed il luogo di arrivo è sempre l’Italia (con l’eccezione del territorio di Livigno e di Campione d’Italia), la vendita deve essere assoggettata ad Iva. In questo caso, si presume che non si generino crediti Iva.

Nel caso in cui il luogo di partenza della merce è l’Italia, ed il luogo di arrivo è un Paese ExtraUE, l’operazione non è assoggettata ad Iva ai sensi dell’articolo 8 del Decreto Iva.

Anche nel caso in cui il luogo di destino della merce sia situato in un altro Paese della UE (con le esclusioni relative ai territori terzi quali le isole Canarie, il territorio del Büsingen, ecc… e l’inclusione del Principato di Monaco e dell’Irlanda del Nord), ed il cliente sia un soggetto passivo identificato in altro Paese UE, la vendita non è soggetta ad Iva ai sensi dell’articolo 41 D.L. 331/1993. Le predette operazioni sono da fatturare come “non imponibili”, e per tali operazioni sono previsti dei “vantaggi” finanziari: in particolare, l’eventuale credito Iva che si forma può essere richiesto a rimborso addirittura trimestralmente quando tali operazioni superano il 25% del volume d’affari; inoltre, tali operazioni concorrono a formare il plafond, un meccanismo che permetterebbe di evitare o contenere il nascere di crediti Iva.

Il vero problema finanziario nasce quando la merce parte dall’Italia ed arriva in altro Paese UE, con clienti privati.

In questo caso, salvo operazioni che possono definirsi “marginali” in quanto di valore complessivo non superiore a 10.000 euro, è dovuta l’applicazione dell’imposta nel Paese comunitario in cui la merce è stata spedita, e tale imposta viene in genere assolta mediante iscrizione al sistema OSS.

Per capire il funzionamento del sistema OSS, si prenda il seguente esempio: l’impresa italiana acquista un bene per 100 euro in Italia, e paga 22 euro di Iva italiana al fornitore. Lo vende ad un privato tedesco per 200 più IVA tedesca del 19%. Il giorno 30 del mese successivo al trimestre di riferimento dovrà versare “cash” il debito di 38 di Iva tedesca; il versamento dovrà essere “cash”, nel senso che non può essere utilizzato l’istituto della compensazione per il versamento del debito di Iva estera derivante dalla dichiarazione OSS.

Ed il credito di 22 euro di Iva italiana pagata ai fornitori italiani, che fine fa?

Ipotizzando che quelle esemplificate siano le uniche operazioni del soggetto passivo, ad inizio dell’anno successivo confluiranno in una dichiarazione a credito che, come detto, non potrà mai essere utilizzata per compensare i debiti di Iva estera nascenti da successive dichiarazioni OSS (potrà essere però utilizzata per pagare altre imposte e contributi…).

Tale credito dovrà essere riportato di dichiarazione in dichiarazione, fino a che, nella dichiarazione del terzo anno successivo, potrà essere chiesto a rimborso come minor credito Iva del triennio.

La vendita effettuata verso privati comunitari, infatti, è considerata una cessione intracomunitaria dalla normativa nazionale, ma essendo esonerata dall’obbligo di fatturazione, certificazione dei corrispettivi, registrazione ed indicazione in dichiarazione, materialmente non consente di essere inserita nei calcoli per verificare se tale soggetto ha diritto a chiederne il rimborso (trimestralmente o anche annualmente).

Inoltre, sempre nella considerazione che le vendite verso privati comunitari sono esonerate da fatturazione e registrazione, mancando la loro indicazione in dichiarazione, non è possibile verificare se il soggetto ha diritto all’utilizzo del plafond.

Ora, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello n. 802/2021, precisa che ottenere un rimborso dopo pochi mesi, anziché dopo quasi 4 anni, è un “regime agevolativo interno” e per potervi accedere il contribuente deve rinunciare ai diritti che la normativa comunitaria gli conferisce, cioè quello di evitare di dover emettere fatture per ogni vendita a distanza.

In sostanza, tutti i soggetti che generano crediti Iva per via delle vendite a privati comunitari con il regime OSS, se decidessero di emettere fatture per tali operazioni, potrebbero avere i requisiti per le richieste di rimborso trimestrale, ed essere qualificati come esportatori abituali ed avere diritto all’utilizzo del plafond.

A parere di chi scrive, allo stato attuale della normativa e della composizione dei modelli dichiarativi, la risposta non poteva essere differente.

Tuttavia, se si introducessero due nuovi “righi” nel modello dichiarativo ed in quello TR, si eviterebbe ai contribuenti di emettere svariate migliaia di fatture!

La situazione sarebbe poi diversa se le vendite a privati comunitari venissero fatte con utilizzo di depositi all’estero, situati nello stesso Paese del cliente finale.

In questo caso, la vendita non andrebbe con il regime OSS; per la disciplina italiana, per le merci inviate dall’Italia al deposito estero, si dovrebbe emettere una fattura non imponibile articolo 41 alla propria partita Iva estera.

Tale operazione concorre a formare il plafond e costituisce a tutti gli effetti una operazione non imponibile ai fini del calcolo dei criteri per i rimborsi Iva. Tuttavia, è d’obbligo ricordare che tale “vendita” a se stessi ha come base imponibile il costo di acquisto dei beni, e non quello di presumibile futura vendita, e quindi è necessario prestare attenzione ai calcoli dei vari coefficienti.