2 Aprile 2020

I professionisti devono acquisire la cultura dell’aggregazione

di Alessandro Siess di MpO & Partners
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Nell’ambito del nostro contributo pubblicato su EC News il 26/03 (Lo Stato agevola le aggregazioni imprenditoriali, non quelle professionali) avevamo evidenziato la necessità sia di agevolare le aggregazioni professionali sia di insegnare ai professionisti ad aggregarsi fra loro, così da costituire degli studi professionali che, per dimensioni ed organizzazione, fossero capaci di affrontare la vasta e complessa domanda del mercato.

Il professionista italiano non possiede la cultura dell’aggregazione. Cosa intendiamo per insegnare ai professionisti la cultura dell’aggregazione? Fondamentalmente due cose:

  1. fornire informazioni utili sulle forme di aggregazione possibili, sulla loro reale natura e sulla disciplina peculiare delle medesime
  2. sensibilizzare i professionisti in ordine alle potenzialità di tali processi aggregativi, evidenziando la loro strumentalità rispetto alla concretizzazione di progetti di realizzazione professionale e personale, aventi ricadute positive anche sull’intero sistema.

Informazioni sulle tipologie di aggregazioni. Perché è necessario spiegare ai professionisti quali sono le forme di aggregazioni di cui possono usufruire? Semplice, perché in realtà non le conoscono o, comunque, non ne conoscono la loro reale portata. Pochi professionisti, ad esempio, sono consapevoli del fatto che il contratto di cessione/acquisizione di uno studio professionale, pur essendo caratterizzato, in primis, da una valorizzazione dello studio acquisito (aggregato) e dal pagamento di un prezzo a favore del professionista cedente, si inserisce a pieno titolo nell’ambito della più ampia famiglia dei contratti di aggregazione fra professionisti, in quanto l’integrale perfezionamento dell’operazione si concretizza tramite la realizzazione di un vero e proprio percorso aggregativo, che interessa sia i titolari (aggregatore ed aggregato) sia le strutture operative che fanno capo ai medesimi.  La natura aggregativa dell’operazione emerge in modo chiaro dalla sua struttura, la quale nella prassi viene costruita su due pilastri portanti: l’attività di affiancamento/canalizzazione della clientela e la continuità gestionale dello studio. I professionisti non hanno una conoscenza adeguata di questi due capisaldi dell’operazione, di come essi vadano contrattualizzati, organizzati ed attuati, né conoscono le tecniche di formalizzazione e funzionamento delle clausole strettamente connesse ad essi (si pensi alla clausola di verifica del passaggio della clientela e di eventuale adeguamento del prezzo). Conseguentemente, non avendo conoscenza della vera natura dell’operazione, appunto connotata da uno spirito necessariamente aggregativo, il professionista rischia di non cogliere le importanti opportunità che essa offre ai fini del raggiungimento dei suoi obiettivi.

Analogo discorso vale anche per le operazioni di aggregazione che non passano da una monetizzazione iniziale dello studio del professionista aggregato (“fusioni”, contratti di rete, partnership etc). Anche in questo caso, al professionista va insegnato in cosa consistono questi contratti, quali siano le questioni su cui necessariamente ci si deve concentrare e quali siano le soluzioni per disciplinare le medesime (governance, recesso, trasferimento, liquidazione etc…).

Sensibilizzazione in ordine alla potenzialità dei processi aggregativi. Per comprendere le ragioni di tale esigenza, dobbiamo partire da una considerazione preliminare: nell’ambito delle operazioni di cessione degli studi professionali il fattore economico è sì importante, ma non costituisce l’unica motivazione che muove le parti. A 30 anni, a 50 anni e a 65 anni la vita e la professione si presentano da angolazioni diverse, ma tutte le età sono caratterizzate dal desiderio di ricercare soluzioni che migliorino la qualità della nostra vita, sia lavorativa sia più strettamente personale. In un tale contesto, l’aspetto economico ha un ruolo importante, ma certamente da solo non può soddisfare quella domanda interiore che inevitabilmente si appalesa in determinati periodi della propria carriera professionale. Ebbene, il professionista ha bisogno di essere sensibilizzato circa le potenzialità di queste operazioni, al fine di evitare che ne venga percepita la sola componente “commerciale” e che non vengano invece colte tutte le opportunità che esse offrono in termini di crescita e realizzazione personale, oltre che professionale.

Si pensi al professionista vicino all’età pensionabile: egli  ha la necessità di pianificare nei prossimi 5-10 anni il passaggio generazionale del suo studio, di individuare soluzioni che consentano di privilegiare la qualità della sua vita e di avere tempo da dedicare anche ad altro oltre che alla professione, smarcandosi dall’attività gestionale che molto lo ha usurato, ritagliandosi un ruolo all’interna della struttura che lo gratifichi ma non lo assorba completamente, mantenendo un reddito adeguato al suo standard e tutelando il posto di lavoro del personale dello studio. La motivazione economica, sebbene importante, costituisce solo uno degli elementi che attivano il progetto e da sola non è in grado di realizzarlo.

Oppure si pensi al professionista cinquantenne che sempre più di sovente decide di aderire ad un progetto aggregativo che preveda la cessione iniziale del suo studio: parliamo di professionisti di successo e prestigio, che hanno creato e sviluppato studi di medie e anche grandi dimensioni, con 10/15 e più dipendenti e collaboratori, con fatturati che consentono marginalità importanti. Questi professionisti godono di ottimi redditi e non possono che essere soddisfatti di quanto hanno realizzato. E quindi? Perché dovrebbero cedere il loro studio? Semplice, perché comprendono che hanno raggiunto il loro limite, più di così non possono crescere, ma allo stesso tempo si accorgono che la macchina che hanno costruito è molto impegnativa da guidare, in quanto li costringe ad occuparsi di tutto: amministrazione, gestione dei dipendenti/collaboratori, relazioni con i clienti, esecuzione delle prestazioni professionali più complesse ed impegnative. E qual è il progetto a cui loro vorrebbero partecipare? Questi professionisti vogliono entrare in strutture più grandi, guidate da colleghi con spiccata mentalità imprenditoriale, che sono interessati sì ai loro clienti, ma che pongono quale condizione essenziale per il perfezionamento dell’operazione la permanenza a lungo termine del professionista aggregato all’interno della struttura, che sono disponibili a pagare un prezzo per l’incorporazione del loro studio, che hanno la capacità di centralizzarne tutta la gestione amministrativa e quindi di liberarli del peso organizzativo che prima gravava solo sulle loro spalle, che sono consapevoli della necessità di non stravolgere la struttura operativa dello studio, mantenendo tendenzialmente i dipendenti e i collaboratori. In un tale contesto, i professionisti aggregati avranno la possibilità di condividere responsabilità, scelte e professionalità con decine di colleghi, specializzando ulteriormente le loro competenze e ponendole a disposizione di una clientela ben più vasta. Anche in questo caso il fattore economico è importante, ma da solo non sarebbe sufficiente a realizzare la desiderata svolta della propria carriera e della propria vita.

E gli esempi potrebbero continuare, pensando ai progetti dei cinquantenni aggregatori e dei giovani professionisti all’inizio della loro carriera, che in parte potrebbero costituire l’altra faccia della medaglia dei due progetti sopra accennati. Se riteniamo che l’aggregazione fra i professionisti sia importante, e lo è, dobbiamo aiutare questi processi anche tramite un’attività di formazione, che, a sua volta, ci si auspica venga incentivata da Ordini ed Associazioni di categoria.

Nei prossimi contributi tratteremo alcune clausole peculiari dell’operazione, fra cui quelle che disciplinano l’attività di canalizzazione, la verifica del fatturato, il trasferimento dei rapporti con i dipendenti.