I rapporti tra notifica dell’atto e residenza del contribuente
di Luigi FerrajoliUn argomento di particolare interesse riguarda la notificazione degli atti tributari al contribuente.
A tale proposito, si osserva che le notificazioni degli atti tributari debbono essere eseguite nel domicilio fiscale del destinatario, ad eccezione della consegna dell’atto o dell’avviso nelle mani del soggetto interessato (articolo 60, comma 3, D.P.R. 600/1973), che per le persone fisiche è identificato con quello del Comune nella cui anagrafe sono iscritte e per i soggetti giuridici è identificato nel Comune in cui si trova la sede legale, o in mancanza la sede amministrativa; se anche questa manca, essi hanno il domicilio fiscale nel Comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel Comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività (articolo 58 D.P.R. 600/1973).
Premesso ciò, la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 13843/2021, richiamando le proprie precedenti sentenze n. 15258/2015 e n. 25680/2016, ha precisato che “il disposto del primo periodo del terzo comma dell’articolo 60 del D.P.R. n. 600 del 1973 (a norma del quale le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo risultanti dai registri anagrafici «hanno effetto» ai fini delle notificazioni, ancorché soltanto dal trentesimo giorno successivo) – come pure, come si deve analogamente ritenere, il disposto del quinto comma dell’articolo 58 dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973 (a norma del quale le variazioni del domicilio fiscale «hanno effetto» con decorrenza dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate) – non autorizzano la conclusione che l’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi sia priva di effetti ai fini della notificazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, giacché questa, prima di notificare un atto al contribuente, dovrebbe in ogni caso controllare, mediante una verifica sui registri anagrafici, l’attualità dell’indicazione della residenza contenuta nella dichiarazione dei redditi”.
Tale interpretazione, infatti, secondo un principio giurisprudenziale consolidato, renderebbe del tutto priva di scopo l’indicazione della residenza nella dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’articolo 58, comma 4, D.P.R. 600/1973 (negli atti, contratti, denunzie e dichiarazioni che vengono presentati agli Uffici finanziari deve essere indicato il Comune di domicilio fiscale delle parti, con la precisazione dell’indirizzo solo ove espressamente richiesto), e si porrebbe in conflitto con l’orientamento prevalente della Cassazione, secondo cui l’indicazione, nella dichiarazione dei redditi, della propria residenza – o di un proprio domicilio in un indirizzo diverso da quello di residenza, ma nell’ambito del medesimo Comune dove il contribuente è fiscalmente domiciliato (articolo 60, comma 1, lett. d, D.P.R. 600/1973) – va effettuata “in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario” (Cassazione, n. 24292/2018).
Alla luce di ciò, il contribuente che abbia indicato nella propria dichiarazione dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può eccepire detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore da parte dell’Ente impositore, al fine di opporre, sotto il profilo dell’incompetenza del territorio, l’invalidità dell’atto di accertamento compiuto dall’Ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato.
Infatti, al dovere del contribuente di dichiarare un determinato domicilio o sede fiscale ed un definito rappresentante legale, ai sensi dell’articolo 58 D.P.R. 600/1973, non corrisponde l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di verificare e controllare l’attualità e l’esattezza del domicilio eletto.
Sulla scorta di tali considerazioni deve allora affermarsi che un conto è il caso di un cambio di residenza, altro è il caso di una originaria difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi; in quest’ultima ipotesi, infatti, la notificazione che si sia perfezionata presso l’indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi deve considerarsi valida nonostante tale indicazione non sia coincidente con le risultanze anagrafiche, non rilevando se per errore o per malizia.
La Suprema Corte, con la citata ordinanza n. 13843/2021, si è uniformata ai principi sopra esposti – dando ulteriore conferma all’indirizzo di validità della notificazione del prodromico avviso di accertamento effettuata dall’Ente impositore presso l’indirizzo indicato dallo stesso contribuente nella dichiarazione dei redditi – affermando che “la notificazione perfezionata effettuata presso l’indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi (anche quando il perfezionamento si abbia tramite il meccanismo della compiuta giacenza; Cass., n. 15258 del 2015, n. 25680 del 2016) deve ritenersi valida, nonostante tale indicazione sia difforme – non importa se per errore o per malizia – rispetto alle risultanze anagrafiche”.