I redditi professionali prodotti all’estero
di Ennio VialVita Pozzi
È tempo di dichiarazioni e con queste arriva anche il quadro RE relativo ai redditi di lavoro autonomo.
Una questione dove scivolano molti operatori attiene alla tassazione dei redditi di lavoro autonomo prodotto all’estero. Il caso classico è quello del professionista che si reca all’estero a lavorare per alcuni periodi e che subisce delle ritenute sui redditi così prodotti. Taluni ritengono che, trattandosi di un reddito prodotto all’estero, lo stesso non debba essere dichiarato in Italia nel quadro RE.
Si tratta di una convinzione palesemente errata. Infatti, si deve ricordare come l’articolo 3 del tuir stabilisca che i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti. Si tratta del c.d. principio della tassazione su base mondiale. Ovviamente, a fronte di una eventuale tassazione subita nel Paese estero, soccorre l’art.165 del tuir che ammette lo scomputo del credito di imposta.
Esaminando la normativa interna, pertanto, si giunge alla conclusione che il reddito prodotto all’estero deve essere tassato ma che possiamo beneficiare del credito per evitare o limitare la doppia imposizione.
Si deve tuttavia valutare anche quanto disposto nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia. Al riguardo, il Modello Elaborato dall’OCSE ha espunto da diversi anni l’art. 14 relativo ai professionisti, riconducendoli nell’alveo degli art. 5 e 7 della stabile organizzazione.
Le convenzioni stipulate dall’Italia, tuttavia, contengono ancora il vecchio art. 14 secondo il quale i redditi che un residente di uno Stato Contraente [nel nostro caso il professionista residente in Italia] ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività analoghe di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato [e quindi in Italia], a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato Contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa.
Va da subito precisato come la base fissa corrisponda, nella sostanza, alla stabile organizzazione dell’impresa e si concretizza in un ufficio. Dalla lettera della norma emerge in modo inequivocabile che:
- il professionista è tassato solamente in Italia esclusivamente in relazione al reddito ivi prodotto;
- se lavora all’estero sorge una potestà impositiva del Paese in cui l’attività viene svolta ma esclusivamente in relazione alla base fissa e limitatamente ai redditi ad essa riferibili.
Un’immediata conseguenza di tale approccio è che, non solo non è corretto escludere da tassazione in Italia il reddito prodotto all’estero, ma è altresì esclusa la possibilità di scomputare un credito a fronte delle imposte pagate qualora la convenzione non ammetta la tassabilità nel Paese estero. Abbiamo appena avuto modo di illustrare come lo Stato estero possa tassare esclusivamente in presenza di una stabile organizzazione.
Queste conclusioni, ancorchè riferite alla fattispecie simile della stabile organizzazione, sono rinvenibili anche nella R.M. 277/E/2008 avente ad oggetto il caso della società ALFA srl, residente in Italia che svolge lavori altamente specialistici per l’installazione di un gasdotto nel Mar Caspio ed opera per conto della “società BETA”, che ha sede in Kazakistan, facente parte del gruppo GAMMA.
La prestazione è stata effettuata con proprio personale e con una parte di proprie attrezzature. La società appaltante BETA ha trattenuto alla società ALFA SRL una ritenuta alla fonte.
L’Agenzia delle Entrate ha correttamente precisato come il fatto che la Convenzione escluda la tassazione da parte del Kazakistan in assenza di una stabile organizzazione, esclude la scomputabilità di tali prelievi come credito di imposta.
L’unica via possibile al contribuente sarà l’istanza di rimborso alle autorità Kazake in forza del disposto convenzionale.