I servizi internazionali non imponibili alla prova del diritto comunitario
di Roberto CurcuCome abbiamo visto in un precedente contributo, a decorrere dal 1° gennaio 2022 il legislatore ha modificato l’articolo 9 del Decreto Iva, per tentare di renderlo più compatibile alla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza C-288/16.
Peraltro, quello fatto dal legislatore con decorrenza dal 1° gennaio 2022 è il terzo degli interventi effettuati negli ultimi 6 anni, in quanto lo Stato italiano ha dovuto intervenire a seguito di una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea e di una sentenza (la C-276/16) che ha visto soccombente proprio l’Agenzia delle Entrate.
Nonostante l’attenzione riposta dal legislatore, per adeguare la normativa nazionale a quella comunitaria, chi scrive ritiene tuttavia incompleto questo lavoro.
Nel precedente contributo, ad esempio, abbiamo visto come il corretto recepimento dell’articolo 146 della Direttiva Iva, come interpretato dalla sentenza C-288/16, avrebbe voluto che non solo i servizi di trasporto, ma anche quelli di “movimentazione merce” individuati al numero 5 dell’articolo 9, e quelli relativi alle operazioni doganali individuati al numero 4, secondo periodo, fossero non imponibili solo se fatturati a soggetti “qualificati”. Ma anche con riferimento ai servizi di trasporto, sorgono dubbi di compatibilità della norma col diritto comunitario, relativamente all’individuazione di tali “soggetti qualificati”.
Con riguardo all’individuazione dei soggetti che possono godere del regime di esenzione per i servizi connessi con le esportazioni, la sentenza della Corte di Giustizia UE C-288/16 ha previsto nel proprio dispositivo che tali servizi sono non imponibili solo se resi al “mittente o al destinatario di detti beni”. Nel testo della sentenza la Corte utilizza però anche i termini “esportatore” ed “importatore”, apparentemente considerandoli sinonimi (si evidenzia che poi il testo italiano della sentenza non corrisponde esattamente al testo inglese e tedesco…)
Il legislatore italiano, limitatamente alle prestazioni di trasporto, ha previsto che tali servizi possano essere non imponibili solo se resi all’esportatore, al titolare del regime di transito, all’importatore, al destinatario dei beni o allo spedizioniere. Le anomalie sono due.
In primo luogo, nella norma nazionale, differentemente da quanto indicato dalla Corte, manca il “mittente”. Ricordiamo che per il codice civile (ma anche il diritto internazionale, vedi ad esempio la convenzione CMR) il “mittente” è colui che dà l’incarico al trasportatore.
La norma nazionale prevede che la non imponibilità sia garantita per i trasporti effettuati a favore dell’esportatore, concetto che se interpretato in maniera formale, porterebbe a farlo coincidere con colui che risulta come tale sulla bolletta doganale. Vi sono quindi delle situazioni di operazioni a catena, nelle quali la terminologia utilizzata dal legislatore potrebbe portare alla non corretta applicazione del diritto comunitario.
La seconda anomalia riguarda l’inserimento dello spedizioniere come soggetto destinatario della non imponibilità. Lo spedizioniere è colui che stipula i contratti di trasporto a favore del committente, e può farlo a proprio nome o spendendo il nome dell’esportatore (articolo 1737 cod. civ.). Il trasportatore (che, lo ricordiamo, è un soggetto non destinatario del regime di non imponibilità), è colui che si obbliga a trasferire le cose da un luogo all’altro (articolo 1678 cod. civ.), ma per farlo potrebbe delegare altri soggetti (subvezione). In sostanza, lo spedizioniere è un intermediario, il trasportatore no.
L’articolo 1741 cod. civ. dispone tuttavia che lo spedizioniere che con mezzi propri o altrui assume l’esecuzione del trasporto, in tutto o in parte, ha gli obblighi e le responsabilità del trasportatore. Quindi, potrebbe esserci uno spedizioniere che cura il trasporto con mezzi propri? E in questo caso, come si fa a distinguerlo dal trasportatore? Ipotizzando che in un contratto stipulato tra italiani, con il codice civile tra le mani, sia chiaro quando un soggetto agisce in qualità di spedizioniere o in qualità di vettore, cosa succede se il contratto stipulato segue le regole del diritto britannico o di quello islamico?
I problemi non finisco qui: la sentenza della Corte di Giustizia non sembra proprio annoverare lo spedizioniere come possibile destinatario di servizi in esenzione ai sensi dell’articolo 146 Direttiva 112/2006 (non imponibilità articolo 9 Decreto Iva). Nemmeno l’articolo 153 Direttiva 112/2006 sembra lasciare propendere che tale regime di non imponibilità verso lo spedizioniere, previsto dal legislatore italiano, sia compatibile col diritto comunitario. Infatti, tale norma prevede che gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi effettuate dagli intermediari che agiscono in nome e per conto di terzi, quando intervengono in operazioni di trasporto che godono del regime di non imponibilità. Ma se lo spedizioniere fosse un intermediario che agisce in nome e per conto dell’esportatore, non riceverebbe la fattura dal trasportatore, il quale la emetterebbe direttamente nei confronti dell’esportatore.
In sostanza, la norma nazionale concede al trasportatore di fatturare in regime di non imponibilità verso uno spedizioniere che agisce in nome proprio e per conto del proprio committente, mentre il diritto comunitario non sembrerebbe concedere questo regime di “esenzione”.
Le non congruità della norma, quindi, parrebbero essere diverse. Come già illustrato in precedenti contributi, chi scrive ritiene che il contribuente abbia diritto di applicare la normativa in vigore nel proprio Stato, senza che lo Stato stesso possa addebitare al contribuente di non aver applicato la disciplina comunitaria, ma quella nazionale incompatibile. Certo è che, anche volendo escludere possibili future contestazioni da parte degli organi di controllo, ogni volta che si fattura con l’articolo 9, è probabile che aumenti il proprio credito Iva verso l’Erario italiano, e la cosa non sempre è gradita dai contribuenti.