I termini legislativi non si interscambiano per coerenza di sistema nell’ordinamento tributario
di Luciano SorgatoIn una recente verifica, è insorta la questione se l’assegnazione ad un socio di una partecipazione con i presupposti di ammissione alla PEX, possa beneficiare dello speciale regime fiscale di esenzione da imposizione del 95%.
La controversia nasce dalla versione letterale dell’articolo 87, comma 1, Tuir, a mente del quale: “Non concorrono alla formazione del reddito imponibile, in quanto esenti nella misura del 95 %, le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86, commi 1, 2 e 3 …”.
Nel richiamato comma 1, dell’articolo 86, vengono individuate con identità analitica le tre note fattispecie di plusvalenze che, ai fini dello scrutinio giuridico che si intende rappresentare, appare utile riportarne il testo:
- le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
- le plusvalenze realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa per la perdita o il danneggiamento dei beni;
- le plusvalenze derivanti dai beni che vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Come appare agevole constatare, le “plusvalenze realizzate” vengono, sul piano letterale, correlate alle sole lettere a) e b) e non alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 86, Tuir.
La questione controversa riguarda la latitudine semantica del termine “realizzate”. Ossia se tale locuzione venga legislativamente usata senza il raccordo con un preciso significato, in modo indefinito, agnostico, o se essa, invece, disponga di un preciso perimetro di relazione concettuale, nel cui ambito esaurisce la sua operatività. L’indagine deve, in primis, dipartire dall’esame delle versioni testuali degli articoli 170 (trasformazione della società), 172 (fusione di società) e 173 (Scissione di società), Tuir. In tali operazioni, viene costantemente usata l’espressione letterale “L’operazione non dà luogo a realizzo, né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società stessa”.
Proprio tale storico abbinamento terminologico rende necessaria un’indagine tesa a verificare se il richiamo legislativo alle sole “plusvalenze realizzate” consenta, comunque, di ritenere assorbita l’intera struttura ternaria delle plusvalenze fiscalmente rilevanti ex articolo 86, Tuir, e, quindi, incluse anche le plusvalenze derivanti dalla chiusura del ciclo imprenditoriale o dalla fuoriuscita dei beni dal regime d’impresa. Un esame sistematico e storico, in ordine a tale tripartizione di plusvalenze imponibili, rende maggiormente prospettabile l’inidoneità della fattispecie delle plusvalenze realizzate a rendersi surrogabile anche delle plusvalenze per consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnazione ai soci o comunque per finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Proprio la rappresentata ricongiunzione legislativa delle plusvalenze realizzate e delle plusvalenze distribuite rende evidente il diverso fondamento causale delle due tipologie di plusvalenze.
Tale assunto trova conferma nelle previsioni di cui all’articolo 2, n. 4, L. delega 825/1971, secondo cui per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice si tiene conto delle sopravvenienze attive e passive comunque conseguite e delle plusvalenze e delle minusvalenze di tutti beni, comprese le plusvalenze distribuite prima del loro realizzo, nonché nel successivo articolo 3, n. 2, sempre della citata Legge delega, secondo cui i redditi delle società tassabili ai fini Irpeg (ora Ires) avrebbero dovuto ricomprendere anche le plusvalenze conseguite, distribuite o iscritte in bilancio.
Il confronto letterale con il chiaro criterio direttivo della Legge delega è senz’altro prezioso per raccordare fondamenti impositivi diversi alle plusvalenze realizzate/conseguite da una parte e alle plusvalenze distribuite dall’altra, non rendendosi riconducibili ad unitarietà le due specie di plusvalenze (quelle realizzate e quelle distribuite). Il Legislatore delegato ha singolarmente rappresentato le plusvalenze realizzate raccordandole con le cessioni a titolo oneroso in genere e con gli indennizzi risarcitori, mentre con le plusvalenze distribuite ha ricondotto al paradigma impositivo tutti gli atti di destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio d’impresa (comprensive degli atti di autoconsumo, di assegnazione ai soci e di ogni ulteriore forma di chiusura del ciclo imprenditoriale). Le citate previsioni della Legge delega, peraltro, riprendono testualmente le medesime previsioni di cui all’articolo 100 e all’articolo 106, D.P.R. 645/1958, a dimostrazione che per il Legislatore italiano, già a partire dalla Legge Tremelloni del 1956, il termine “plusvalenze realizzate” è sinonimo delle plusvalenze conseguite mediante fattispecie negoziali causalmente onerose, mentre le plusvalenze distribuite si raccordano ai diversi concetti di destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore, di assegnazione ai soci e più in generale a scopi estranei ad ogni sinergia imprenditoriale.
Anche volendo sopravanzare l’impiego storico dei diversi termini legislativi, ciò che si reputa più vincolante per l’interprete è proprio la Legge delega, che con trasparenza ed inequivocità letterale distingue nettamente le plusvalenze realizzate dalle plusvalenze distribuite, impedendo ogni forma di commistione delle medesime.
Emblematico, in tal senso, risulta essere anche il passo 1.2.2, della circolare n 320/1997, in ordine all’articolo 1, D.Lgs. 358/1997, recante disposizioni in materia di riordino della disciplina delle operazioni di cessione e conferimento di aziende. Relativamente all’ambito oggettivo veniva testualmente specificato “Con riferimento alle cessioni di aziende, va precisato che nel termine “cessione” si comprendono solo le cessioni a titolo oneroso, mentre ne sono escluse quelle a titolo gratuito, tenuto conto del tenore letterale della norma che fa riferimento alle “plusvalenze realizzate” con ciò ricollegandosi alla previsione di cui al comma 1, lett. a) dell’art 54 (ora 86) del TUIR che riguarda le plusvalenze dei beni relativi all’impresa realizzate mediante cessioni a titolo oneroso”.
Nel tempo, però, il Legislatore ha cessato di connotare la dualità delle plusvalenze con il corretto doppio riferimento legislativo, procedendo con un uso indistinto di plusvalenze realizzate. Il caso più emblematico è rappresentato dall’articolo 58, Tuir, a mente del quale: “Il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa”.
La mancanza della rilevanza impositiva delle plusvalenze abbinabili a tale vicenda circolatoria dell’azienda avrebbe dovuto essere contrassegnata con il riferimento alle plusvalenze distribuite, in quanto, al pari della precisazione riportata nel passo della circolare di prassi sopra scansionato, non trattasi di plusvalenza realizzata in raccordo con una cessione a titolo oneroso.
Così nell’articolo 171 (trasformazione eterogenea), al cui primo comma è dato testualmente rinvenire: “In caso di trasformazione effettuata ai sensi dell’art. 2500 septies del codice civile in ente non commerciale i beni della società si considerano realizzati (più appropriatamente il riferimento avrebbe dovuto essere alle plusvalenze dei beni della società e non ai beni della società) in base al valore normale, salvo che non siano confluiti nell’azienda dell’ente stesso”. Anche in tal caso, trattandosi di fuoriuscita di beni dal regime d’impresa, la rilevanza impositiva avrebbe dovuto essere contraddistinta dall’uso delle plusvalenze distribuite e non di plusvalenze realizzate.
Tale progressiva perdita di identità semantica del termine “realizzate” ha generato la coesistenza di norme con raccordi del tutto imprecisi in ordine agli strumenti giuridici alla base dei vari effetti traslativi fiscalmente rilevanti, talora ancora in coesistenza con il termine distribuite e talora in raccordo con l’indistinto uso di “plusvalenze realizzate”.
Tale disinvolto uso dei termini non favorisce un’agevole individuazione degli intenti legislativi, proprio come in ordine alla questione posta in apertura dello scritto, relativa all’applicazione del regime PEX nel caso di assegnazione della partecipazione al socio, dal momento che in base all’indicato canone letterale storico la fattispecie identificherebbe una plusvalenza distribuita e non una plusvalenza realizzata. Chi scrive è, però, convinto che il Legislatore, sia pure con scrittura normativa incoerente, abbia nel tempo incluso nella categoria delle plusvalenze realizzate anche la categoria delle plusvalenze distribuite, incorporando nelle prime anche le plusvalenze da autoconsumo, assegnazione ai soci e da finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Tuttavia, non può non evidenziarsi come un uso disinvolto dei termini, oltre a non essere portatore di quella chiarezza che il diritto tributario ed il suo ruolo estremamente specialistico ha bisogno, è precluso anche dalla giurisprudenza di Cassazione.
La particolare evidenza raccordata all’articolo 12, comma 1, Preleggi (che dispone sui criteri d’interpretazione della legge accordando all’esegesi letterale un ruolo specialistico) si rinviene chiara nella sentenza n. 23051/2022 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Le Sezioni Unite erano state chiamate a dirimere la controversia se un atto di scissione di una Srl in altra Srl ed in una società semplice, debba considerarsi soggetto ad imposta di registro in misura fissa anche in ordine al compendio patrimoniale riorganizzato, secondo la dinamica successoria della scissione, nella società semplice. La controversia verteva, quindi, sulla latitudine operativa dell’imposta di registro in misura fissa come prevista all’articolo 4, Tariffa, Parte I, D.P.R. 131/1986, il quale disciplina gli “atti propri delle società di qualunque tipo e oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni, di persone e di beni con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole”. Si trattava, cioè, di stabilire se il riferimento contenuto nell’articolo 4, “aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali od agricole”, dovesse essere inteso solo riferibile agli enti con esclusione delle società, oppure ad ogni tipo di società ed ente. Le citate Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione che l’atto di scissione relativo ad una società semplice sconta l’imposta di registro in misura fissa, sulla base di uno scrutinio fondamentalmente letterale, sottolineando come il richiamo, presente nell’articolo 12, Preleggi, al significato proprio delle singole parole utilizzate dal Legislatore, obbliga a ritenere che ogni qualvolta esse siano portatrici di un significato specifico, l’esegesi della norma non possa deviare o svalutare il medesimo.
Testualmente, per il citato giudice di Cassazione: “La coerenza interna alla prescrizione normativa deve indurre a ritenere, in via generale, che la terminologia usata dal legislatore sia segnata da costanza semantica. Conclusione questa che si rafforza nella considerazione che tanto più l’appropriatezza del linguaggio legislativo si identifica con un preciso significato tecnico – giuridico, tanto più si restringono gli spazi della polisemia”. Proprio sulla base del fondamentale argomento letterale, le Sezioni Unite hanno, quindi, concluso che “l’oggetto” richiamato nell’articolo 4, Tariffa, D.P.R. 131/1986, il quale delinea la natura dell’attività economica svolta, si rende riferibile solo agli enti diversi dalle società, mentre la struttura letterale del periodo obbliga a ritenere applicabile la complessiva disciplina impositiva dell’articolo 4 (e, quindi, l’imposta in misura fissa) ad ogni tipo di società, indipendentemente dall’oggetto (commerciale, agricolo o di mero godimento).
Al Legislatore si ritiene, quindi, di rappresentare come l’uso dei termini impiegati in un testo legislativo, proprio in virtù delle precise indicazioni della riportata sentenza delle Sezioni Unite, non possa avvenire senza li rigoroso perseguimento dei necessari coordinamenti, soprattutto se i termini hanno una loro precisa collocazione e significato storico, come senz’altro rinvenibile nella rappresentata dualità delle “plusvalenze realizzate” e delle “plusvalenze distribuite”.





