Ici e attività economiche degli enti no profit
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoDue recenti pronunciamenti della Corte di Cassazione (sezione V – ordinanze n. 4051 e 4066 del 12.2.2019) contribuiscono a fare chiarezza sull’applicazione dell’Ici al mondo delle associazioni sportive dilettantistiche e degli enti del terzo settore in generale dando indicazioni su una interpretazione tassativa della previsione agevolativa.
La fattispecie concreta, nel primo caso, è relativa alla impugnazione, da parte di una associazione sportiva, di due avvisi di accertamento emanati per omesso versamento di detta imposta per l’anno 2005 e 2006 relativamente ad un complesso immobiliare condotto in concessione da un ente pubblico, utilizzato dall’associazione sportiva per lo svolgimento di attività di ristorazione a favore degli associati; la sede dove veniva svolta l’attività sportiva del Circolo era infatti posta altrove e non presso la struttura in questione.
Con la seconda pronuncia è stata invece concentrata l’attenzione su una casa per ferie di proprietà di un’opera religiosa, secondo l’Amministrazione finanziaria “gestita imprenditorialmente in una zona balneare ad alta intensità turistica”, considerato “che l’attività ricettiva è remunerata”.
L’associazione ricorrente deduceva, nel primo caso, l’errore di giudizio, per quanto qui di interesse, per avere il Giudice di appello valorizzato la natura commerciale dell’attività di somministrazione cibo e bevande, che veniva svolta esclusivamente in favore degli associati.
Secondo la ricorrente non era esigibile l’Ici, nonostante lo svolgimento di attività di ristorazione all’interno dell’immobile, in quanto non si trattava di attività prevalente ma a completamento dei servizi offerti agli associati e, comunque, funzionali al raggiungimento degli scopi statutari.
Inoltre, alcun rilievo poteva essere assegnato alla circostanza che il servizio di ristorazione era svolto da terzo, in quanto la pratica di esternalizzare i servizi era comune nei circoli e comunque il gestore era soggetto al diretto controllo dell’associazione sportiva al pari del manutentore degli impianti.
Il Collegio riprendeva la giurisprudenza costante della Suprema Corte, secondo cui, in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dall’articolo 148 Tuir in favore delle associazioni non lucrative, e quindi anche delle associazioni sportive dilettantistiche, dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni, essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto.
Inoltre, proseguiva il Collegio, “l’esenzione dall’Ici ha natura speciale e derogatoria della norma generale ed è perciò di stretta interpretazione, dovendosi applicare solo nelle ipotesi tassative indicate; non spetta nel caso di utilizzazione indiretta, benché assistita da finalità di pubblico interesse“.
Tanto posto, proseguiva la Corte, occorreva accertare se, nel caso in esame, ai fini del riconoscimento o meno dell’esenzione, l’immobile era utilizzato per lo svolgimento diretto di una attività riconducibile ai fini istituzionali dell’ente e se il servizio di ristorazione fosse strumentale a tali fini, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente, piuttosto che assumere “natura commerciale ed autonoma“.
Tale prova non era stata fornita, anzi emergeva un quadro descrittivo di una attività di ristorazione in alcun modo contigua alle finalità istituzionali perseguite ma con propria natura commerciale e produttiva di reddito.
Il complesso immobiliare che ospitava la struttura ristorativa non era pertanto utilizzato per attività sportive o ad esse strumentali “essendo irrilevante che i fruitori del servizio potessero essere solo soci o loro invitati, il gestore effettuando in ogni caso, una attività di somministrazione pasti dietro corrispettivo non collegata con le discipline sportive nelle quali avrebbero dovuto cimentarsi gli associati che, al massimo, potevano rappresentare il parziale bacino di utenza di possibili clienti“.
Nel secondo caso la Cassazione ha confermato che: “…si devono considerare irrilevanti ai fini tributari le argomentazioni sulle finalità solidaristiche e di inclusione sociale che connotano l’attività in questione… posto che l’attività non è svolta a titolo gratuito né dietro versamento di un importo simbolico ma semplicemente praticando sconti a particolari categorie di soggetti il che peraltro è una pratica commerciale comune…”.
Per giungere alle richiamate conclusioni vengono richiamate sia precedenti sentenze della Corte, secondo le quali l’attività esente non può essere svolta con modalità commerciali ai fini della agevolazione in esame, che decisioni della Commissione europea (“anche laddove un’attività abbia finalità sociale questa non basta da sola a escluderne la classificazione di attività economica. È necessario, quindi, al fine della esclusione del carattere economico dell’attività, che quest’ultima sia svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un importo simbolico”).
La Corte, definitivamente decidendo sull’assoggettamento a Ici della casa per ferie, ha quindi chiarito che non rileva, al fine di ritenere sussistente il requisito oggettivo dell’esenzione, che la destinazione degli utili eventualmente ricavati sia destinata integralmente al perseguimento di finalità sociali o religiose, che costituiscono un momento successivo alla loro produzione e non fanno venire meno il carattere commerciale dell’attività.