Il cambio di coltura non comporta la decadenza dalla ppc
di Luigi ScappiniIn tema di imposta di registro e ipocatastali, tra le poche agevolazioni rimaste in vigore per il settore primario, sicuramente la più utilizzata è quella meglio nota come “piccola proprietà contadina” che, dopo più di 50 anni di proroghe, ha finalmente trovato una sua stabilità a mezzo dell’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, convertito con modifiche dalla L. 25/2010.
La norma, come noto, prevede l’applicazione, per gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l’Ismea, delle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e dell’imposta catastale nella misura dell’1%.
Beneficiari dell’agevolazione, in origine, erano i soli coltivatori diretti e gli Iap iscritti regolarmente alla previdenza agricola a cui nel tempo sono stati aggiunti:
- le società agricole di cui all’articolo 2, D.Lgs. 99/2004, in presenza di un soggetto Iap qualificato, con ruolo differente a seconda della forma giuridica societaria;
- il coniuge e i parenti in linea retta di coltivatori diretti e Iap regolarmente iscritti alla previdenza agricola, a condizione che siano già proprietari di terreni agricoli e risultino conviventi con gli stessi;
- proprietari di masi chiusi di cui alla L.P. Bolzano 17/2001.
A scopo antielusivo, sempre l’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, sancisce la decadenza nel caso in cui, prima che siano trascorsi 5 anni dalla stipula degli atti, i terreni vengano alienati volontariamente, oppure venga meno la coltivazione o conduzione diretta.
Proprio in riferimento a questa seconda condizione, ovverosia quella relativa alla necessità di procedere in via continuativa alla coltivazione o conduzione del fondo acquisito azionando l’agevolazione in oggetto, si è soffermata la CGT di I grado di Bolzano con la sentenza n. 146 depositata lo scorso 29.12.2023, affermando un principio condivisibile.
Punto di partenza è l’oggetto della compravendita che, come previsto dalla norma, deve essere un terreno che deve essere qualificato agricolo dagli strumenti urbanistici in vigore. In altri termini, ai fini dell’agevolazione ciò che conta è la natura del fondo, dovendosi escludere, ad esempio, l’applicazione dell’agevolazione nel caso di un terreno edificabile, a prescindere dalla sua destinazione effettiva a uso agricolo. In tal senso, è consolidato un indirizzo giurisprudenziale secondo cui “in tema di imposta di registro, per determinare la natura del bene compravenduto, onde individuare l’aliquota applicabile, occorre avere riguardo alle previsioni urbanistiche correnti al momento dell’atto, che incidono sulle sue qualità ai fini fiscali, essendone irrilevante la concreta utilizzazione o utilizzabilità” (ordinanza n. 28170/2022 e sentenza n. 23045/2016 e sentenza n. 8136/2011). Ciò a voler dire che “Non è qualificabile come agricola l’area che lo strumento urbanistico generale non qualifichi formalmente come tale, limitandosi a consentire lo sfruttamento agricolo dei terreni e ponendo, al contempo, limiti di edificabilità in sintonia con gli scopi della pianificazione” (ordinanza n. 28170/2022).
Tale terreno, una volta entrato nella disponibilità dell’acquirente, deve essere destinato in via continuativa alla coltivazione e conduzione, come previsto sempre dall’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009.
Nel caso oggetto della sentenza della Corte bolzanina, la ricorrente aveva proceduto all’acquisto di terreni coltivati a meleti, attività interrotta nel quinquennio di monitoraggio, per effetto dell’inizio dei lavori relativi al cambio di coltura in vigneto e alla connessa realizzazione di un insieme di immobili e infrastrutture atte ad esercitare l’attività di produzione vitivinicola quali la realizzazione di locali atti al ricovero delle macchine agricole, allo stoccaggio e alla lavorazione delle uve, al magazzinaggio dei prodotti ottenuti nonché alla degustazione, attività quest’ultima da inquadrare quale enoturismo come introdotto con l’articolo 1, comma 502, L. 205/2017.
A parere della CGT di I grado, tali attività sono da considerarsi come rientranti nell’ambito della richiamata nozione di “coltivazione e conduzione”, in quanto è consolidato, sia in giurisprudenza (vedasi sentenza n. 5739/2005 e sentenza n. 27351/2013) sia nella prassi (risoluzione n. 124/E/1998), il principio per cui l’inizio dell’attività di impresa deve essere ricondotto al primo atto compiuto, anche se solo preparatorio allo svolgimento di una determinata attività economica, a condizione che, tuttavia, si possa inquadrare come funzionale al raggiungimento del fine produttivo.
Ne deriva che, nel caso di attività agricola, essendo quest’ultima definita, ai sensi dell’articolo 2135, cod. civ., nella coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e nelle attività connesse (tra cui vi rientra per espressa previsione normativa anche l’enoturismo), si deve concludere che, anche la conversione dell’attività agricola ad altra coltura, deve considerarsi comunque come svolgimento dell’attività agricola, con conseguente continuità nell’esercizio della coltivazione e conduzione del fondo.