2 Marzo 2019

Il canone allineato ai valori OMI disapplica la disciplina delle comodo

di Alessandro Bonuzzi
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In ogni periodo d’imposta le società commerciali, nonché le stabili organizzazioni di soggetti non residenti, devono preoccuparsi di non ricadere nella disciplina delle società di comodo, la quale rappresenta, soprattutto nel caso in cui tra le attività patrimoniali siano presenti immobili, una vera e propria “spada di Damocle”.

Il tema è stato oggetto della risposta all’istanza di interpello n. 68 del 20 febbraio 2019 nell’ambito della quale l’Agenzia delle entrate è giunta a una conclusione di particolare interesse. A parere del Fisco, infatti, il canone di locazione allineato a quello desumibile dall’OMI (Osservatorio del Mercato Immobiliare) consente, alle società che non superano il test di operatività, di disapplicare la disciplina delle società di comodo.

La vicenda trae origine da un interpello probatorio presentato da una società beneficiaria di una doppia scissione per effetto della quale le vengono attribuiti i patrimoni immobiliari strumentali delle due società “sorelle” per motivi di riorganizzazione aziendale.

Una volta ricevuti gli immobili la beneficiaria è intenzionata a concederli in locazione, a valori di mercato, alle società scisse. In particolare, l’istante rende noto che gli importi delle locazioni di entrambi i rami immobiliari sono individuati all’interno del range dei valori OMI e parametrati ai metri quadrati degli immobili interessati; tuttavia, siffatti valori non sono sufficienti a consentire il superamento del test di operatività. Pertanto, la società beneficiaria sarebbe destinata a ricadere nella disciplina delle società di comodo.

Da qui l’esigenza di presentare interpello probatorio proprio al fine di chiedere al Fisco se, per il periodo d’imposta 2019, l’allineamento ai valori OMI costituisce di per sé una situazione oggettiva non suscettibile di valutazione soggettive in grado di disapplicare il regime di cui all’articolo 30 L. 724/1994.

Va, infatti, ricordato che il comma 4-bis di tale articolo prevede che “In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può interpellare l’amministrazione ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera b), della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente”.

In passato, con riferimento alle società immobiliari, ma la conclusione non può che valere in senso generale, l’Agenzia ha riconosciuto la possibilità di disapplicare la normativa sulle società di comodo con la dimostrazione dell’impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il test di operatività, ovvero per conseguire un reddito effettivo superiore a quello minimo presunto.

Ciò accade, ad esempio, nei casi in cui i canoni dichiarati siano almeno pari a quelli di mercato, determinabili ai sensi dell’articolo 9 Tuir (circolare 5/E/2007).

Per la determinazione del valore di mercato dei canoni di locazione è stato chiarito che si può fare riferimento ai valori riportati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (circolare 25/E/2007).

Alla luce di tali indirizzi, l’Agenzia, in relazione al caso oggetto della Riposta n. 68/2019, ha fornito parere positivo all’istanza del contribuente. Di talché, l’appiattimento dei canoni di locazione alle quotazioni OMI consente alla società beneficiaria dei comparti immobiliari di disapplicare il regime delle comodo.

Infine, il documento di prassi precisa che, siccome il caso riguarda il periodo d’imposta 2019, assumono rilevanza le quotazioni OMI relative agli anni 2018 e 2019.

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