28 Aprile 2015

Il concordato preventivo, la continuità è complicata.

di Claudio Ceradini
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I soci protagonisti del caso della rubrica settimanale sulla crisi di impresa stanno esaminando ogni strumento a disposizione per tentare di risanare l’impresa in difficoltà. Constatata l’impossibilità di avvalersi del piano attestato e dell’accordo di ristrutturazione, si analizza oggi la terza, più incisiva, alternativa: il concordato preventivo.


Martedì scorso il piano di risanamento supportato da un accordo di ristrutturazione del debito, strutturato con grande attenzione per banche e fornitori, concentrando il sacrificio sui creditori che, purtroppo per loro, sono nella condizione peggiore di non essere importanti e di non godere di alcuna garanzia, interna o esterna, era alla fine risultato imperfetto, e la capacità di copertura insufficiente a fronte di un fabbisogno finanziario di 1.150 che, per i tre anni successivi all’esaurimento degli interventi di ricapitalizzazione, avrebbe potuto contare solo sull’ autofinanziamento e sulla riserva di liquidità accumulata nel triennio. Mancano soldi quindi, e si impone la verifica di un ulteriore opzione, più drastica: il concordato preventivo.

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