Il connubio fra OMI e network immobiliare
di Gianfranco AnticoCome noto, per gli accertamenti relativi alle cessioni di immobili, la L. 88/2009 ha abrogato la presunzione legale, secondo cui, sia in ambito dell’Iva che del reddito d’impresa, si poteva provare l’infedeltà sulla base dello scostamento tra:
- il corrispettivo delle cessioni ed;
- il valore normale dei beni, desunto dal c.d. valore Omi.
Tale possibilità era stata introdotta dall’articolo 35, D.L. 223/2006 (c.d. decreto “Visco- Bersani”) che aveva inserito alcune disposizioni volte ad ampliare i poteri dell’Amministrazione finanziaria in sede di controllo.
In sostanza, come indicato nella circolare n. 18/E/2010, detta disposizione prevedeva la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica del reddito d’impresa, considerando integrata la prova dell’esistenza di “attività non dichiarate” e quindi della “infedeltà dei relativi ricavi”, in caso di scostamento tra:
- il corrispettivo dichiarato per le cessioni di beni immobili (ovvero per la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni) e;
- “… il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi …”.
Pertanto, attualmente, trovano applicazione le disposizioni di carattere generale di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), D.P.R. 600/1973, il quale dispone che l’esistenza di attività non dichiarate (o l’inesistenza di passività dichiarate) è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti (ai fini Iva si fa riferimento all’articolo 54, comma 2, D.P.R. 633/1972).
Alla luce di tale dettato normativo, la stessa circolare della Guardia di Finanza n.1/2018 ravvisa la necessità che, in sede di controllo, “la formulazione di rilievi per infedeltà del corrispettivo dichiarato nella compravendita immobiliare sia supportata, oltre che dal mero riferimento allo scostamento dal corrispettivo rispetto al prezzo mediamente praticato per immobili della stessa specie o similari, anche da ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova del rilievo”. E richiama quanto già sottolineato dall’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 16/E/2016, secondo cui le quotazioni OMI – pur costituendo un punto di riferimento importante perché derivanti da puntuali analisi del mercato immobiliare – rappresentano solo il dato iniziale ai fini dell’individuazione del valore venale in comune commercio, per cui tali quotazioni dovranno essere necessariamente integrate anche da ulteriori elementi. Per l’individuazione del valore venale, occorre, in particolare, fare riferimento ai criteri stabiliti dall’articolo 51, Tuir, ossia ai trasferimenti a qualsiasi titolo, alle divisioni e alle perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero:
- al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato per gli investimenti immobiliari alla detta data e nella stessa località, nonché;
- ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base dei dati eventualmente forniti dai comuni.
Sul versante giurisprudenziale, la Corte di Cassazione aveva già sostenuto, in alcuni casi, anche prima delle modifiche normative intervenute, la necessità che la rettifica dei prezzi dichiarati non fosse fondata soltanto sullo scostamento degli stessi rispetto ai valori Omi – anche se significativo (ordinanza n. 1972/2012) – occorrendo ulteriori elementi:
- importi dei mutui contratti dagli acquirenti superiori ai prezzi di acquisto dichiarati (ordinanza 19942/2012; sentenza n. 20914/2014);
- significative differenze tra i prezzi di vendita praticati dall’impresa per le medesime tipologie di immobili (sentenza n. 13092/2012);
- dati afferenti alla zona centrale del Comune in cui a suo tempo il cantiere era stato aperto, e costruito il complesso immobiliare (sentenza n. 457/2014);
- scostamento anche dai valori risultanti dalla relazione di stima dell’ex Agenzia del territorio appositamente predisposta con riferimento ad immobili analoghi;
- stipula da parte di un acquirente di un contratto di mutuo ipotecario per un importo maggiore del prezzo dichiarato nel rogito (ordinanza n.17558/2021).
In questo contesto si inserisce la recente sentenza n. 17189/2023 della Corte di Cassazione che ha esaminato un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società, in ragione della vendita di sei unità immobiliari a prezzo inferiore a quello di mercato, con conseguente rettifica del reddito di impresa, anche ai fini Irap e Iva, utilizzando due fonti diverse, Omi e i dati di un network immobiliare su scala nazionale. Nel caso di specie, osservano gli Ermellini, il giudice di appello ha correttamente ritenuto la legittimità in astratto dell’accertamento, in quanto fondato su altri elementi presuntivi oltre ai valori Omi, quali ad esempio i valori del network immobiliare, anche se poi ha ritenuto che occorreva fare riferimento unicamente alla differenza tra i valori Omi e quelli dichiarati in sede di vendita. “Ne consegue che, conformemente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, l’accertamento deve ritenersi legittimo, in quanto in origine fondato su di una pluralità di elementi indiziari, tra cui anche i valori Omi”.