Il controllo sulla motivazione della sentenza a seguito della modifica dell’articolo 360, comma 1, n. 5) Cod. Proc. Civ.
di Luigi Ferrajoli
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12928 del 9 giugno 2014 ha chiarito che la modifica all’art. 360, comma 1, n. 5) Cod. Proc. Civ. apportata dall’art. 54, comma 1, lett. b) del D.L. 83/2012 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, della motivazione di fatto della sentenza di appello. Infatti, come affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 8053 del 7/4/2014, con la riforma del 2012 si è realizzata la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante ed attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico. Ne consegue che la ricostruzione del fatto, operata dai giudici di merito, è oramai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia viziata da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili.
La Corte di Cassazione nella sentenza in commento conferma quanto stabilito dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 8053/2014, ribadendo che la nuova versione del numero 5) dell’art. 360 Cod. Proc. Civ. – secondo cui di fronte al giudice di legittimità è censurabile solo “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” – comporta una ulteriore delimitazione del sindacato della Corte di Cassazione sugli elementi di merito della causa stabilendo che le pronunce di merito possono essere impugnate, a questo punto, per negligenza del giudice che non ha affrontato un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
La ratio legis è, quindi, quella di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione della sentenza in sede di giudizio di legittimità, che potrà essere censurato solo quando si converte in violazione di legge e cioè nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile sempre che il vizio risulti dal testo della decisione, così come chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 5888/1992, che con riferimento al testo del n. 5) dell’art. 360 Cod. Proc. Civ. originariamente previsto dal codice di rito (oggi riproposto con la riforma del 2012) hanno chiarito che il vizio di motivazione si converte in violazione di legge solo quando il vizio sia così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4) Cod. Proc. Civ. la “nullità” della sentenza per “mancanza della motivazione”.
Il vizio di motivazione può essere censurato in sede di legittimità solo quando comporti la “nullità” della sentenza e quindi sotto il profilo della violazione dell’art. 132 Cod. Proc. Civ. (e dell’art. 36 del D.Lgs. 546/92 per le sentenze tributarie) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) Cod. Proc. Civ. In particolare viene chiarito che il vizio logico, la lacuna o l’aporia della motivazione devono essere talmente gravi da rendere apparente il supporto argomentativo (ad esempio esistono enunciati intitolati motivazione che però non hanno alcuna natura di giustificazione della decisione, ovvero contengono affermazioni fra loro inconciliabili o non comprensibili), devono risultare direttamente dal testo della sentenza e devono essere comunque attinenti ad una quaestio facti, considerato che in ordine alla quaestio iuris non è neppure prospettabile un vizio di motivazione (se si contesta la motivazione in diritto e cioè si censura come è motivata una interpretazione della legge, il vizio deducibile può essere solo che si è interpretata male, e quindi violata, la legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 Cod. Proc. Civ.).
In sostanza, a seguito delle modifiche apportate al codice di procedura civile il vizio della motivazione della sentenza è censurabile in Cassazione solo sotto il profilo della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, solo se risulta dal testo della sentenza ed è tale da determinare la nullità (per mancanza di motivazione) della medesima sentenza, rimanendo, quindi, estranea al sindacato della Corte di Cassazione la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle “questioni di fatto”, la quale implichi un raffronto fra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice.