Il credito imposta sugli affitti esclude troppe attività chiuse
di Clara PolletSimone DimitriL’articolo 65 D.L. 18/2020 (decreto Cura Italia) ha introdotto, come noto, quanto segue: “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”.
L’intento del legislatore pare chiaro e condivisibile: compensare i costi sostenuti dalle imprese per gli affitti del mese di marzo, vista la chiusura forzata delle attività dettata dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. La portata dell’agevolazione, seppur apprezzabile, si rivela di scarsa efficacia ricomprendendo i soli immobili di categoria catastale C/1 – negozi e botteghe; viene esclusa la stragrande maggioranza delle società che si trovano nella medesima situazione di difficoltà nelle locazioni, come, ad esempio, le imprese commerciali, manifatturiere, gli artigiani, gli asili, etc..
Con il comma 2, dell’articolo 65, il perimetro del credito d’imposta viene ulteriormente circoscritto, con la previsione che lo stesso non trova applicazione per le attività di cui agli allegati 1 e 2 del D.P.C.M. 11.03.2020.
Ricordiamo che il D.P.C.M. 11.03.2020 ha previsto la chiusura generale della attività di commercio al dettaglio e dei servizi alla persona, fatta eccezione per determinate attività considerate essenziali, elencate negli allegati 1 e 2 sotto riportati.
Allegato 1 – Commercio al dettaglio | Allegato 2 – Servizi per la persona |
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Fin qui, la scelta pare ragionevole: se l’attività è proseguita anche nel mese di marzo non è possibile beneficiare del credito in argomento.
Fintanto che trattasi delle attività degli ipermercati, negozi di generi alimentari o farmacie, non vi è dubbio che l’attività sia proseguita: tali esercenti offrono generi di prima necessità, unici beni che, ad oggi, giustificano l’esigenza di uscire da casa per effettuarne l’acquisto.
Purtroppo, diverse attività riportate nell’allegato 1, seppur autorizzate in quanto “essenziali”, hanno dovuto di fatto chiudere anch’esse, ad esempio perché non strutturate per gestire le vendite online dei prodotti o non in grado di garantire (per mancanza di mezzi o di spazi) le norme a tutela della salute e del distanziamento nei propri locali. Si pensi ad attività quali il commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l’igiene personale, il commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia o ancora al commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico.
Le poche attività che hanno mantenuto i negozi aperti hanno riscontrato l’assoluta mancanza di clientela: diventa difficile immaginare che qualche potenziale acquirente abbia pensato di autocertificare, davanti ad eventuale controllo delle forze dell’ordine, lo stato di necessità per l’acquisto di un profumo nuovo o delle luci LED nuove per il soggiorno.
Purtroppo, anche in sede di conversione in legge del decreto Cura Italia (L. 27/2020) non è stato posto un correttivo a tale norma, al fine di ricomprendere tutte le imprese colpite dalla chiusura delle attività in egual modo.
Sul versante delle “buone notizie” segnaliamo infine che, l’iter parlamentare della conversione in legge ha portato all’introduzione del comma 2- bis dell’articolo 65, volta a chiarire che il credito d’imposta non concorrere alla formazione del reddito imponibile, della base imponibile Irap e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, Tuir. Lo stesso resta utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite modello F24 a decorrere dal 25 marzo 2020.
6 Maggio 2020 a 11:37
ritenete che l’utilizzo del credito d’imposta in questione risulti vincolato all’assenza di ruoli scaduti ex art.31 D.L. 78/2010 ?