4 Luglio 2023

Il credito per le imposte estere in ipotesi di dichiarazione omessa

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 165 Tuir contiene la disciplina del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero da soggetti passivi d’imposta in Italia.

Tale disposizione risponde alla finalità di eliminare (o quantomeno limitare) il fenomeno della doppia imposizione internazionale, consentendo l’esercizio del diritto di scomputare dalle imposte dovute in Italia quelle assolte all’estero su redditi ivi prodotti. L’attribuzione di un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in relazione a redditi tassati anche in Italia opera sia ai fini della determinazione dell’Ires, sia ai fini dell’Irpef.

Ai sensi del comma 1 dell’articolo 165 Tuir, il credito d’imposta è riconosciuto quando ricorrono congiuntamente le tre condizioni di seguito indicate:

  • conseguimento di un reddito prodotto all’estero;
  • concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo;
  • pagamento di imposte estere, aventi natura di imposte sul reddito, a titolo definitivo.

Da quanto sopra indicato consegue che la detrazione non spetta nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata (comma 8 dell’articolo 165 Tuir).

Sul punto è più volte intervenuta la giurisprudenza di legittimità (cfr., Cass. Sent. 16/09/2005, n. 18371), sottolineando la necessità del concorso del reddito estero (cui si riferisce l’imposta estera che si intende scomputare) alla formazione del reddito complessivo onde evitare la perdita del credito d’imposta, non sostituibile dalla presentazione di un’istanza di rimborso ex articolo 38 D.P.R. 602/1973.

Nel caso di omessa indicazione (totale o parziale) del reddito estero nell’ambito di una dichiarazione validamente presentata, così come confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate (cfr., Circolare AdE 9/E/2015), la violazione compiuta può essere sanata mediante la presentazione di una c.d. “dichiarazione integrativa a sfavore”, ovviamente entro i termini di cui all’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998.

Al riguardo è d’uopo rammentare che, ai sensi dell’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/1998, si considerano “valide” le dichiarazioni presentate con un ritardo non superiore a 90 giorni, sicché il credito d’imposta spetta ugualmente in caso di presentazione della dichiarazione entro il suddetto termine.

Dunque, nella fattispecie non appena considerata, è consentito indicare, nella dichiarazione integrativa, un reddito estero non compreso nella dichiarazione originaria e comunque fruire legittimamente del credito d’imposta per le relative imposte assolte all’estero.

È quindi agevole ritenere che il comma 8 dell’articolo 165 citato stabilisca uno stretto legame tra la fruizione del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero e la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di appartenenza del reddito estero.

Occorre altresì sottolineare che l’ipotesi della omessa indicazione del reddito estero si verifica nel caso in cui, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di appartenenza del reddito estero, non risulti indicato un reddito estero derivante dalla medesima fonte produttiva e appartenente alla medesima categoria.

Ciò significa che conserva il diritto a fruire del credito d’imposta, così come precisato dalla stessa Agenzia delle Entrate (cfr., Circolare AdE 9/E/2015), anche il «soggetto residente che, ad esempio, abbia parzialmente dichiarato il reddito di impresa prodotto da una propria stabile organizzazione all’estero».

In ambito giurisprudenziale si rinviene una rigorosa applicazione della disposizione in esame. Invero la Corte di Cassazione ha più volte negato l’esercizio del diritto di scomputare dalle imposte dovute in Italia quelle assolte all’estero su redditi ivi prodotti, quando ciò non è avvenuto nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in cui le imposte estere sono state pagate (cfr., ex multis Cass. Ord. 13/07/2018, n. 18700; Cass. Ord. 6/11/2019, n. 28573; Cass. Sent. 8/10/2020, n. 21694).

In particolare, con ordinanza 4/02/2021, n. 2581, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui: «il nostro ordinamento adotta, in linea di massima, il principio di tassazione dei redditi ovunque prodotti, c.d. worldwide principle (art. 2 TUIR). Sicché i beni immobili situati all’estero, in tesi generale, sono tassati per l’ammontare netto soggetto a imposta sul reddito dello Stato estero e spetta credito d’imposta per imposte che, pagate all’estero (art. 165 TUIR; art. 23 Conv. Italia-Egitto; art. 23 Mod. OCSE), siano opportunamente documentate (Circ. AdE, 12.6.2002, n. 50, p.18). Tuttavia nulla può invocare la parte contribuente sia in caso di omessa documentazione della tassazione effettiva, sia in caso di omessa presentazione della dichiarazione (art. 165 TUIR nuovo testo, comma 8; art. 185 TUIR vecchio testo, comma 4; art. 15 TUIR previgente, comma 4)».

Da ultimo si osserva che la norma in esame potrebbe configurare una sanzione impropria che finisce in maniera del tutto illegittima per violare il principio del divieto di doppia imposizione giuridica desumibile dall’articolo 53 Cost., per cui non sarebbe così peregrina l’idea di sollecitare un intervento della Corte costituzionale.