Il credito prescritto è deducibile solo se il creditore si è prodigato nel recupero
di Angelo GinexLa prescrizione del credito costituisce elemento certo e preciso legittimante la deduzione della perdita su crediti, sempreché l’inattività del creditore nel suo recupero non abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale, la quale va desunta dai fatti e dalle circostanze del caso concreto. È questo l’indirizzo espresso l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’istanza di interpello n. 197/E/2019.
L’intervento chiarificatore dell’Amministrazione finanziaria si è reso necessario a seguito dell’istanza con cui una società chiedeva se fosse possibile dedurre le perdite relative a crediti vantati nei confronti di imprese estere inadempienti e oramai prescritti.
In particolare, l’istante vantava crediti nei confronti di imprese residenti in un Paese extra-UE, interessato da crisi economica, e risultanti cessate.
Al fine di conoscere la concreta possibilità di recuperare il proprio credito, essa si rivolgeva a dei legali, i quali evidenziavano come, secondo le regole poste dal diritto internazionale privato, la normativa applicabile fosse quella del Paese estero e secondo la quale i crediti erano da considerarsi prescritti.
Ciò, in quanto, nelle more del termine prescrizionale, la società non aveva posto in essere alcun atto interruttivo, limitandosi a gestire informalmente le pratiche di recupero del credito, in ossequio alle prassi commerciali vigenti nel Paese di residenza dei debitori, in cui si attribuisce particolare valore al rapporto fiduciario tra le parti.
Da ultimo, essa riportava di non essersi mai accorta di anomalie e difficoltà finanziarie dei debitori e di non aver sottoscritto una polizza assicurativa a copertura del rischio di credito, proprio in ragione dell’asserita solvibilità delle società debitrici.
Secondo le prospettazioni dell’istante, le perdite sarebbero state deducibili, attesa la prescrizione dei crediti compiutasi ai sensi del combinato disposto dell’articolo 101, comma 5, Tuir e delle norme del diritto internazionale privato di cui alla L. 218/1995.
In particolare, l’articolo 110, comma 5, ultimo periodo, Tuir, statuendo che gli elementi certi e precisi ai fini della deducibilità della perdita sussistono quando il credito è prescritto, prevedrebbe un’automatica rilevanza del componente negativo di reddito nei casi di evidente e palese irrecuperabilità del credito.
L’Agenzia delle Entrate, ripercorrendo il disposto normativo dell’articolo 110 Tuir, ha tuttavia respinto il diritto alla deduzione dei crediti prescritti.
Nella specie, essendo i debiti localizzati in un Paese extraeuropeo, l’Amministrazione finanziaria, riprendendo un precedente documento di prassi, ha sostanzialmente affermato che occorre valutare attentamente gli elementi certi e precisi richiesti dalla norma e, pertanto, è d’uopo dotarsi della dichiarazione di insolvenza dei debitori stranieri emessa dalla Sace (Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero), ovvero, in secondo luogo, dimostrare la definitiva perdita del credito, secondo le regole previste nello Stato del debitore (cfr. circolare AdE 39/E/2002).
Inoltre, secondo quanto riportato nelle circolari AdE 26/E/2013 e 10/E/2014, «la prescrizione del diritto di esecuzione del credito iscritto nel bilancio del creditore ha come effetto quello di cristallizzare la perdita emersa e di renderla definitiva. […] Resta salvo il potere dell’Amministrazione di contestare che l’inattività del creditore abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale».
Da ciò ne deriva che la prescrizione rappresenta un elemento certo e preciso ai fini della deduzione della perdita, allorché si provi che l’inattività del creditore non sia dipesa da una propria volontà di privilegiare il debitore.
Orbene, nel caso di specie, dai documenti allegati dall’istante si è evinto che nessun atto interruttivo è stato posto in essere e che la gestione informale delle pratiche di recupero del credito, ha effettivamente avvantaggiato le imprese debitrici.
In definitiva, dalla condotta inerte dell’istante nella riscossione dei crediti scaduti è derivata l’indeducibilità delle perdite su crediti.
In ultima analisi, soggiunge l’Agenzia delle Entrate, a differenti conclusioni si perverrebbe se la società istante acquisisse degli elementi probatori tesi a dimostrare lo stato di effettiva insolvenza dei debitori e la conseguente inesistenza di qualsivoglia intento liberale derivante dall’inerzia nel recupero dei crediti.