Il dietrofront della Cassazione su reverse charge ed obbligo di autofatturazione
di Luigi Ferrajoli
Con la recente sentenza n. 20771 dell’11/09/2013, la Sezione V della Corte di Cassazione ribalta il precedente orientamento espresso in materia di reverse charge in caso di mancata autofatturazione.
A differenza di quanto stabilito in precedenti pronunce, secondo il nuovo indirizzo giurisprudenziale, l’omessa registrazione e fatturazione di prestazioni di servizi ricevute da un soggetto straniero integra, da parte della committente italiana, la violazione di obblighi sostanziali, con conseguente legittimo recupero dell’IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria, senza diritto alla successiva detrazione e con applicazione delle sanzioni che possono giungere sino ad un importo pari all’imposta evasa.
Nel caso in esame, una società aveva impugnato un avviso di accertamento con cui era stato recuperato a tassazione l’importo concernente prestazioni ricevute dalla contribuente e fornite dalla sua capogruppo non residente, per le quali la società non aveva proceduto ad autofatturazione ed in relazione alle quali, per conseguenza, non sarebbe stato possibile esercitare alcuna detrazione di IVA; nel ricorso introduttivo la contribuente aveva sostenuto che l’omessa autofatturazione non incedeva sul debito d’imposta, poiché la trascrizione dei debiti e dei crediti Iva avrebbe comportato un saldo finale nullo.
La Commissione tributaria provinciale aveva accolto il ricorso, affermando in particolare che l’omissione della contribuente non aveva prodotto alcun danno fiscale; la Commissione tributaria regionale del Piemonte aveva confermato la pronuncia di primo grado.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione eccependo tra l’altro che, poiché la contribuente aveva ricevuto prestazioni di servizi da un soggetto senza stabile organizzazione in Italia privo di un proprio rappresentante fiscale, gli obblighi IVA concernenti le operazioni da esso compiute in Italia si erano trasferiti in capo alla medesima società che aveva ricevuto il servizio, che era tenuta ad emettere autofattura e ad annotarla sia nel registro vendite, sia in quello degli acquisti.
In fatto, la Corte di Cassazione rileva che la società contribuente non solo non aveva provveduto all’autofatturazione richiesta dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. 633/1972 (nel testo all’epoca vigente), annotandola nel registro delle vendite, ma non aveva neppure proceduto a contabilizzare il relativo importo nel registro degli acquisti.
In diritto la Cassazione, dopo avere esaminato il meccanismo del reverse charge, contemplato dall’art. 21, n. 1, lett. b), della Sesta direttiva e, nell’ordinamento interno, dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. 633/1972 nel testo vigente ratione temporis, evidenzia che l’autofatturazione mira a propiziare l’assunzione dell’obbligo dell’imposta, al fine di consentire la detrazione del corrispondente importo. Secondo la Cassazione, “l’annotazione sul libro delle fatture emesse vale in luogo del pagamento dell’imposta in dogana; il debito che ne scaturisce è, però, neutralizzato dall’annotazione nel registro degli acquisti, che equivale all’annotazione della bolletta doganale […] Le registrazioni, dunque, assolvono senz’altro una funzione sostanziale e non meramente formale; e ciò in quanto, annullandosi a vicenda, comportano che non sorga alcun debito nei confronti dell’amministrazione fiscale”.
La Suprema Corte giunge quindi alla conclusione che la violazione degli obblighi di registrazione, avendo natura sostanziale ed incidendo sia sul versamento del tributo sia sull’azione di accertamento dell’Ufficio, non possa non causare un danno all’Erario: di conseguenza è legittimo sia il recupero dell’imposta evasa senza possibilità di detrazione, sia l’applicazione della sanzione.
E’ interessante notare come la pronuncia in commento giunga solo pochi giorni dopo la sentenza n. 20486 del 06/09/2013 con la quale la Corte di Cassazione aveva, al contrario, sancito l’illegittimità dell’avviso di accertamento notificato ad una società immobiliare italiana che non aveva emesso un’autofattura per la consulenza fornita da una società spagnola; in tale fattispecie la Corte ha stabilito che, nell’ambito di un’operazione di reverse charge, l’omessa autofatturazione da parte del contribuente italiano non preclude il diritto alla detrazione IVA.
Secondo la precedente pronuncia, nel meccanismo del reverse charge, l’inosservanza da parte del contribuente delle formalità prescritte dalla normativa nazionale (quindi dell’obbligo di emettere autofattura) non può privarlo del suo diritto alla detrazione in quanto il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione IVA a monte sia accordata quando gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti anche se tali obblighi formali sono omessi dai soggetti passivi.