Il difficile inquadramento IVA delle cessioni di beni esistenti all’estero
di Adriana Padula
La vendita di beni allo stato estero, precedentemente trasferiti in regime di esportazione temporanea o in esportazione definitiva in “franco valuta”, in assenza di un accordo negoziale ad effetti immediati o differiti già all’atto dell’invio, è esclusa da IVA per carenza del presupposto territoriale.
La movimentazione di beni al di fuori del territorio doganale comunitario, oltre che in esecuzione di atto traslativo della proprietà o di trasferimento di diritti reali, può infatti scaturire da ragioni legate al traffico internazionale attuato in regime di temporanea esportazione, ovvero di esportazione in “franco valuta”, vale a dire non valida ai sensi dell’art. 8, del D.P.R. n. 633/1972.
La nozione doganale di esportazione non coincide in realtà con quella di “cessione all’esportazione”, agli effetti dell’IVA. Ai fini doganali, l’esportazione si perfeziona con il superamento da parte dei beni del valico doganale comunitario, mentre la disciplina IVA richiede che la cessione all’esportazione sia funzionalmente vincolata al trasferimento dei diritti di proprietà o di altro diritto reale. La puntuale qualificazione ai fini IVA della cessione dei beni presenti in paesi extracomunitari, poiché ivi precedentemente trasportati, sembra quindi dipendere dalla esistenza fin dall’origine dell’atto negoziale che ne giustifichi il trasferimento.
Si consideri, inoltre, che la corretta individuazione del regime IVA applicabile alle transazioni che si perfezionano in un momento successivo alla consegna o spedizione dei beni all’estero, esplica effetti ai fini della determinazione del plafond dell’esportatore abituale, dal momento che le cessioni non soggette da IVA ne sono escluse.
La prassi amministrativa consolidatasi sull’argomento in esame si è espressa nel senso di escludere dalla non imponibilità di cui all’art.8, del D.P.R. n. 633/1972, tutti i trasferimenti di beni all’estero non avvenuti in esecuzione di un contratto di vendita. Nel caso di cessione causalmente svincolata dall’esportazione di beni già situati all’estero, infatti, l’operazione risulterebbe esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, per carenza di requisito territoriale.
Il Dipartimento delle dogane, con nota del 6 maggio 1997 n. 1248, sollecitata da richieste di chiarimento in merito al regime doganale applicabile in caso di invio in paesi extracomunitari di beni per lavorazioni, ha precisato che “ove le merci esportate dovessero durante la permanenza all’estero formare oggetto di cessione, tale transazione non assume rilevanza ai fini IVA, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, del DPR n. 633/1972 (ora art. 7-bis, comma 1, del DPR n. 633/1972)”. Tale approccio, consolidatosi negli anni successivi, ha trovato nuova declinazione nella risoluzione 5 maggio 2005, n. 58/E, intervenuta a chiarire il regime IVA applicabile alle cessioni effettuate in esecuzione di un contratto di consignment stock.
Lo schema negoziale in parola comporta il trasferimento di beni di proprietà del fornitore in un deposito del cliente, il quale ha facoltà di estrarli per la successiva rivendita o per l’impiego nell’ambito del processo produttivo. L’operazione, deve quindi essere considerata in modo unitario con la specificazione che la cessione, pur esistente al momento dell’abbandono delle merci dalla Comunità, esplica effetti traslativi differiti poiché si perfeziona al prelievo dal deposito. L’esistenza dell’atto negoziale già al momento dell’invio dei beni in un Paese extracomunitario, nonostante abbia manifestazione reale differita, pare sufficiente a integrare i presupposti per inquadrare la fattispecie come cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 633/1972. Al di fuori dello specifico caso del consignment stock, aggiunge la medesima circolare, le vendite di beni allo stato estero non rilevano ai fini dell’imposta, a norma dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.
Tale approccio sembra confermato da una lettura a contraris dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 che considera effettuate ai fini IVA in Italia le cessioni dei beni vincolati al regime di temporanea importazione. Cosicché, non esisterebbero margini per ritenere che la vendita di beni inviati all’estero con vincolo di esportazione temporanea, risulti non imponibile ai sensi dell’art. 8.
Nonostante la chiara presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria, di recente la Suprema Corte, nella sentenza 20 dicembre 2012, n. 23588, sembra aver recepito l’indirizzo espresso dall’Associazione Dottori commercialisti di Milano, nella nota 31 luglio 2005, n. 161.
La norma IVA, nella rilettura dei giudici, non disporrebbe in merito all’ordine cronologico di esecuzione dell’atto di vendita dei beni rispetto alla consegna o spedizione in Paesi terzi. In particolare, chiarisce la Suprema Corte, “non si riscontra disposizione né esigenza sistematica che imponga una sequenza temporale vincolata degli effetti della transazione nel senso della necessaria anteriorità dell’effetto traslativo del diritto reale rispetto a quello dell’uscita della merce dal territorio comunitario”. In altri termini, affinché la cessione dei beni precedentemente esportati possa avvenire in regime di non imponibilità IVA, è necessario che traspaia l’intenzione ab origine di inviare detti beni all’estero in ragione della successiva vendita, la quale neanche può parre eventuale o probabilistica.
Cosicché le esportazioni per tentata vendita, per partecipazione a fiere mercato, o per deposito in un magazzino di proprietà del cedente, rimangono escluse da tale impostazione, poiché la vendite avrebbe carattere eventuale non essendo intervenuto un accordo di cessione a monte, a giustificazione della movimentazione delle merci.
Ciò a cui i giudici di legittimità attribuiscono invece rilievo è che la transazione assuma carattere definitivo e che il promotore della stessa offra adeguata prova (contabile e documentale) che l’operazione fin dall’origine sia stata concepita in vista del definito trasferimento e della cessione dei beni all’estero.