Il diniego del rimborso Iva chiesto da soggetto estero
di Marco PeiroloLa Corte di giustizia, con la sentenza di cui alla causa C-562/17 del 14 febbraio 2019 (Nestrade), si è pronunciata sugli effetti del provvedimento di diniego del rimborso dell’Iva chiesto da un soggetto non stabilito nella UE per gli acquisti di beni/servizi effettuati all’interno della UE.
Gli effetti della pronuncia sono applicabili, a ben vedere, anche ai rimborsi chiesti da soggetti stabiliti in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stati posti in essere gli acquisti.
Dal 2010, a seguito del recepimento della Direttiva 2008/9/CE, i rimborsi ai soggetti passivi comunitari sono disciplinati dagli articoli 38-bis1 e 38-bis2 D.P.R. 633/1972. Di conseguenza, con il passaggio alle nuove regole, l’articolo 38-ter dello stesso D.P.R. 633/1972 ha assunto carattere residuale, riferendosi ai soli rimborsi chiesti dai soggetti passivi extracomunitari, la cui procedura – sul piano comunitario – risulta ancora definita dalla Direttiva 86/560/CEE (cd. XIII Direttiva CEE)
L’articolo 38 L. 428/1990 (Comunitaria 1990), nel recepire la XIII Direttiva, aveva esteso la disciplina dei rimborsi di cui all’articolo 38-ter D.P.R. 633/1972 ai soggetti passivi extracomunitari, prevedendo però la condizione che i Paesi di appartenenza assicurassero un analogo trattamento ai soggetti passivi italiani.
La condizione di reciprocità, mantenuta anche nell’attuale normativa, sussiste per la Svizzera, la Norvegia e Israele, ed è conforme all’articolo 2, par. 2, della XIII Direttiva, secondo cui “gli Stati membri possono subordinare il rimborso (…) alla concessione da parte degli Stati terzi di vantaggi analoghi nel settore delle imposte sulla cifra d’affari”, fermo restando – in base al successivo articolo 3, par. 2 – che “il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità”.
Sul punto, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che la condizione di reciprocità si applica rispetto ai Paesi che abbiano istituito un’imposta sul valore aggiunto o sulla cifra d’affari, per cui il rimborso compete a condizione che gli operatori extracomunitari siano soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto o dell’imposta sulla cifra d’affari nel Paese di domicilio o residenza e tale Paese assicuri lo stesso trattamento agli operatori economici italiani (circolare 28 febbraio 1991, n. 13/430088, § 3).
A differenza di quanto previsto per i soggetti passivi comunitari, l’articolo 38-ter, comma 2, D.P.R. 633/1972 dispone che la richiesta di rimborso non deve essere inoltrata per via elettronica all’Autorità fiscale del Paese extra-UE di appartenenza. Anche dopo la riforma operata dal D.Lgs. 18/2010, l’istanza continua ad essere presentata dal richiedente, esclusivamente in forma cartacea, al Centro operativo di Pescara; quest’ultimo, infatti, in base al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 1° aprile 2010 (punto 5.1.1) è l’Ufficio competente a gestire tutte le istanze di rimborso, sia dei soggetti comunitari che di quelli extracomunitari.
L’istanza deve essere predisposta utilizzando il modello IVA 79, approvato con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 29 aprile 2010, e inviata per posta raccomandata A/R tramite corriere o contrassegnata a mano entro e non oltre il 30 settembre dell’anno successivo al periodo di riferimento.
All’istanza devono essere allegati:
- gli originali delle fatture;
- la documentazione da cui si evinca il loro pagamento;
- l’attestazione rilasciata dall’Autorità fiscale dello Stato di stabilimento del richiedente, dalla quale risulti la qualità di soggetto passivo, nonché la data di decorrenza di tale iscrizione. Quest’ultima ha validità annuale e può essere utilizzata per tutte le istanze presentate nell’anno.
Ai sensi dell’articolo 38-ter, comma 2, D.P.R. 633/1972, il Centro operativo di Pescara, in caso di diniego del rimborso, emette apposito provvedimento motivato contro il quale è possibile presentare ricorso in Commissione tributaria provinciale, secondo le modalità e nel rispetto dei termini previsti dal D.Lgs. 546/1992.
Al riguardo, nella sentenza di cui alla causa C-562/17 del 14 febbraio 2019 (Nestrade), si è posto il problema di stabilire se le disposizioni della XIII Direttiva ostino agli Stati membri di limitare nel tempo la possibilità, per l’operatore che chiede il rimborso, di rettificare le fatture d’acquisto errate.
Nella specie, l’istante, società svizzera con posizione Iva in Spagna, ha chiesto il rimborso dell’Iva assolta sugli acquisti effettuati in Spagna, ma le Autorità fiscali locali hanno escluso la restituzione dell’imposta, in quanto le fatture d’acquisto risultavano intestate non già alla società svizzera, ma alla sua posizione Iva spagnola.
Siccome tali fatture non sono state corrette entro il termine indicato dalle Autorità fiscali, queste ultime hanno emanato il provvedimento di diniego del rimborso che, a sua volta, non è stato contestato dalla società entro il termine appositamente stabilito, diventando pertanto definitivo.
Nella situazione descritta, osserva la Corte, non è possibile sostenere che, nei confronti della società, sia stato reso impossibile o eccessivamente difficile esercitare il diritto di rimborso, a meno che le Autorità fiscali disponessero già dei dati necessari per verificare la spettanza del rimborso sulla base delle informazioni che la società aveva fornito allo Stato di rimborso nell’ambito di altre domande di restituzione dell’imposta.
Solo in questa ipotesi il diniego del rimborso sarebbe illegittimo, tenuto conto che – come già affermato dalla Corte di giustizia – “la possibilità di proporre una domanda di rimborso delle eccedenze dell’Iva senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione tributaria, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione” (sentenza 21 giugno 2012, causa C-294/11, Elsacom).