In sostanza, il Presidente, senza esito, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per impedire l’evento, ossia:
- le appostazioni non veritiere riguardavano operazioni risalenti negli anni e non imputabili al proprio periodo di gestione e da lui non immediatamente percepite al momento della redazione del progetto di bilancio;
- il progetto di bilancio dal medesimo predisposto con i propri collaboratori aveva evidenziato ingenti perdite e un crollo del fatturato, offrendo una immagine della società che, in assenza di un progetto di ristrutturazione, era destinata al fallimento;
- in epoca anteriore alla approvazione del bilancio, aveva incaricato un consulente esterno per l’attestazione di un piano di risanamento;
- al consulente non era stata consegnata la documentazione relativa ai costi sostenuti e capitalizzati;
- in tale situazione, il Presidente aveva deciso di non convocare l’assemblea per l’approvazione del bilancio;
- malgrado ciò, il bilancio era stato approvato, in sua assenza, da una assemblea illegittimamente tenutasi, perché priva di formale convocazione;
- dunque, il bilancio era stato approvato contro la volontà dell’imputato.
Impugnata la delibera di approvazione del bilancio, il Presidente era stato poi estromesso dalla gestione della società quando, nel corso dell’assemblea, tutti gli altri consiglieri rassegnavano le dimissioni, provocando la decadenza dell’intero Consiglio.
Ciò posto, il ricorrente aveva anche stigmatizzato l’erroneo inquadramento dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta societaria che la Corte di Appello ricostruirebbe come dolo eventuale riferito al dissesto, senza tenere conto del dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico (pacificamente assente da parte dell’imputato) richiesto dal reato presupposto di falso in bilancio, secondo la norma incriminatrice all’epoca vigente.
La Suprema Corte, pur ritenendo infondate le censure che, pur trattando dell’elemento soggettivo, evocano surrettiziamente l’insussistenza e/o l’interruzione del nesso di causalità tra condotta e dissesto, ha considerato fondato il ricorso nella parte in cui si lamenta la mancanza dell’elemento soggettivo della bancarotta societaria.
Ad avviso del Giudice di legittimità, infatti, la Corte di appello si era riportata ad una errata ricostruzione dell’elemento psicologico del reato, di cui all’articolo 223, comma 2, n. 1, L. F., focalizzando la propria attenzione solo sulla copertura soggettiva dell’evento del reato, così dimenticando che, anche il reato presupposto di falso in bilancio deve essere integrato nelle sue componenti soggettive.
Nel reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo, oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, il dolo generico (la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari. Inoltre, il pregiudizio interessato dal dolo del reato fallimentare “non sempre coincide con la volontà di danno supposto dalla norma penal/societaria, sicché non necessariamente la dimostrazione del dolo specifico del reato societario esaurisce l’onere probatorio sul momento soggettivo della bancarotta di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1”.
Tale errore di impostazione si è tradotto in vuoto motivazionale, dato che il giudice di merito ha del tutto pretermesso di esaminare il profilo soggettivo nella sua struttura complessa.
Per tale ragione la Suprema Corte ha disposto un annullamento con rinvio.