1 Agosto 2024

Il domicilio fiscale prima e dopo l’1.1.2024

di Alessandra MagliaroSandro Censi
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 2, comma 2, Tuir, nella sua attuale formulazione, dispone che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.

Tale disposizione si applica a decorrere dall’1.1.2024 secondo quanto stabilito dal D.Lgs. 209/2023 e riscrive completamente la disciplina relativa alla individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche.

In estrema sintesi, le modifiche intervenute riguardano:

  • il valore probatorio dell’iscrizione all’Aire definita ora, per legge, presunzione relativa;
  • il nuovo criterio della presenza nello Stato per la maggior parte del periodo di imposta;
  • la valorizzazione delle frazioni di giorni ai fini del computo del periodo;
  • la nuova definizione di domicilio ai fini fiscali.

Tale ultimo requisito è, da sempre, quello maggiormente, se non esclusivamente, utilizzato dall’Amministrazione finanziaria, nelle ipotesi in cui accerta la residenza fiscale di una persona fisica in Italia. Esso, tra l’altro, è anche quello che ha subito la modifica più rilevante, poiché viene data una definizione destinata ad operare ai fini dell’applicazione della normativa in esame.

Ed invero, nella disciplina precedente all’1.1.2024, il domicilio previsto all’articolo 2, Tuir, veniva definito con un esplicito richiamo al codice civile. Esso, quindi, veniva configurato come una situazione giuridica che prescindeva dall’effettiva presenza del soggetto nel luogo e si fondava sulla volontà di stabilire e mantenere in una determinata località la sede principale dei propri affari ed interessi (articolo 43 cod. civ.). Si trattava del c.d. animus permanendi, ovvero una situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilirsi in quel determinato luogo. Tale volontà veniva, quindi, collegata sia ai rapporti di natura patrimoniale ed economica sia a quelli morali, sociali e familiari del contribuente.

Relativamente al domicilio, dunque, la nuova formulazione dell’articolo 2, Tuir, ha escluso il riferimento alle disposizioni del codice civile – che permangono ai fini dell’individuazione del requisito della residenza – e ha indicato espressamente che per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.

La modifica non è di poco conto. Si rammenta, infatti, che il dibattito giurisprudenziale e dottrinale relativamente agli elementi – patrimoniali o personali – da considerare per l’individuazione del requisito è sempre stato particolarmente acceso.

Appare rilevante, pertanto, individuare a quali fattispecie essa deve applicata.

A questi fini, risulta utile analizzare una recentissima sentenza della giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 19843/2024) che, sul punto, chiarisce l’ambito di applicazione temporale delle modifiche al requisito del domicilio nonché, ovviamente, dell’intera norma.

Secondo i Giudici di legittimità “considerata la natura sostanziale della novella – che incide sulle condizioni fattuali che determinano la soggettività passiva rispetto all’imposizione e sull’onere della relativa prova – tale ultima norma (il nuovo articolo 2 Tuir n.d.r.) deve essere interpretata nel senso che la nuova disciplina si applica pertanto a fattispecie sostanziali che si siano verificate dal 1° gennaio 2024, e non anche a quelle formatesi precedentemente, neanche ove queste ultime siano accertate dall’Ufficio o trattate in giudizio successivamente a tale data.”

Stabilito, quindi, a quali ipotesi la nuova normativa deve essere applicata, è interessante l’approdo degli Ermellini anche relativamente all’individuazione del requisito del domicilio (come definito secondo la precedente normativa) che, come visto, continuerà ancora ad applicarsi a molteplici ipotesi.

Va ricordato che, fino all’anno 2015 (Cassazione n. 20285/2013) era evidente, nella giurisprudenza di legittimità, la maggior considerazione dei legami personali rispetto a quelli professionali-economici.

Basterà qui ricordare che, secondo i giudici di Cassazione, “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, dovevano essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata, e, qualora tali legami non fossero concentrati in un solo Stato membro, l’art. 7, n. 1, comma 2, della Direttiva 83/182/CEE riconosceva la preminenza dei legami personali sui legami professionali” (Cassazione n. 12344/2016) L’orientamento citato era stato fortemente influenzato dal riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 12.7.2001, causa C-262/99, Louloudakis, punti 52, 53 e 55.

A partire però dall’anno 2015, la Suprema Corte (Cassazione n. 6501/2015), mutando l’orientamento precedente, ha stabilito che “le relazioni affettive e familiari non dovessero avere una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.

Sempre secondo la Cassazione, inoltre, il concetto di domicilio doveva essere “valutato in relazione al luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che economici” e il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, deve “intendersi nel senso di ricomprendervi anche gli interessi personali” (Cassazione n. 21694/2020, Cassazione n. 21695/2020 e Cassazione n. 21696/2020).

Si era delineata, pertanto, una visione/giudizio “globale”, che teneva conto di “tutti gli elementi e documenti prodotti dalle parti sia personali che patrimoniali” (sentenze ult. cit) nella quale il domicilio doveva essere “inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali” e compito del giudice era quello di effettuare “l’indispensabile valutazione complessiva degli indizi” (Cassazione n. 18702/2021).

Secondo la sentenza in esame (lo si ripete per le fattispecie che rientrano nella precedente normativa), l’elemento prioritario da considerare, previa la rilevanza della riconoscibilità da parte dei terzi, è quello degli interessi di carattere economico e patrimoniale.

È evidente, pertanto, come le modifiche introdotte dalla nuova normativa, che al contrario disconoscono totalmente il valore degli interessi economici ai fini della valutazione del domicilio fiscale, creeranno notevoli incertezze applicative nel futuro.