Il finanziamento per l’acquisto di azioni proprie e il collegamento negoziale tra finanziamento e acquisto
di Valerio SangiovanniNegli anni passati alcune banche hanno sollecitato l’acquisto delle proprie azioni come condizione per l’ottenimento di finanziamenti. Se le azioni perdono di valore, ciò non impatta – formalmente – sul contratto di finanziamento. Il finanziato si trova così nella paradossale situazione di avere in corso un finanziamento e di pagare gli interessi, mentre le azioni – se vendute (laddove vendibili) – renderebbero poco o nulla. Nel presente articolo esaminiamo il divieto di assistenza finanziaria per l’acquisto di azioni proprie posto dall’articolo 2358, cod. civ..
Introduzione sull’articolo 2358, cod. civ.
L’articolo 2358, comma 1, cod. civ. prevede che “la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti … per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni”. La disposizione fa anzitutto riferimento alla “società” che accorda prestiti. Considerato che l’articolo 2358, cod. civ., è collocato nell’ambito della disciplina della Spa, la norma si applica anzitutto alle Spa e fra le Spa rientrano anche le banche. La norma vieta poi qualsiasi modalità di prestito, sia esso diretto oppure indiretto.
Il tema del finanziamento per l’acquisto di azioni proprie è di interesse pratico, in quanto le operazioni “baciate” (così viene indicato il collegamento negoziale fra il finanziamento e l’acquisto di azioni proprie della società finanziatrice) hanno interessato decine di migliaia di investitori in Italia negli anni scorsi. Si sono verificate con frequenza, nella prassi, operazioni di finanziamento da parte delle banche finalizzate a consentire ai finanziati di acquistare azioni emesse dai medesimi istituti di credito. Ciò è avvenuto soprattutto con riferimento alle 2 banche popolari venete: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, poi messe in liquidazione coatta amministrativa da parte di Banca d’Italia. Il soggetto interessato a comprare le azioni non dispone della provvista necessaria e, così, il danaro gli viene messo a disposizione dalla banca medesima. Il punto è che l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., vieta espressamente dette operazioni.
L’articolo 2358, comma 1, cod. civ. è formulato in modo ampio con riferimento alle tipologie di finanziamenti che sono vietati. Difatti la disposizione usa il termine di “prestiti”, piuttosto inusuale in ambito giuridico. La scelta di un’espressione così generica sta a indicare che, per il Legislatore, sono indifferenti le modalità tecniche con le quali si realizza il finanziamento. Sono 2 le tipologie di finanziamento usate:
- il contratto di mutuo, definito dalla legge come “il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro … e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità” (articolo 1813, cod. civ.) oppure
- il contratto di apertura di credito, definito dalla legge come “il contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato” (articolo 1842, cod. civ.).
Qual è la ratio dell’articolo 2358, cod. civ.? La disposizione serve ad assicurare la consistenza patrimoniale della società che potrebbe essere messa a repentaglio se la società finanziasse l’acquisto di azioni proprie. Se – durante la vita della società – emergono esigenze finanziarie, può essere deliberato un aumento di capitale. I soci che partecipano all’aumento di capitale devono conferire in società risorse vere. Se la società prestasse danaro ai soci per pagare gli aumenti di capitale, il danaro non aumenterebbe la consistenza patrimoniale della società, poiché il danaro vi è uscito poco prima sotto forma di finanziamento. Si immagini il seguente esempio: una società bancaria fa un aumento di capitale di 1.000.000 di euro, che viene sottoscritto da 2 soci (ciascuno per 500.000 euro). Se la banca presta 1.000.000 di euro ai 2 soci per pagare l’aumento di capitale, non vi è alcun rafforzamento patrimoniale della banca, poiché – vero è che entra 1.000.000 di euro – ma detta somma è uscita poco prima per finanziare i soci. Dopo un’operazione del genere, la banca vanta un mero credito alla restituzione del prestito. Solo se i 2 soci pagheranno integralmente il loro debito con la società, questa disporrà della consistenza patrimoniale che l’aumento di capitale voleva garantire.
La nullità del finanziamento per l’acquisto di azioni
Bisogna comprendere quali siano le conseguenze della violazione dell’articolo 2358, comma 1, cod. civ.. La disposizione difatti tace sulle conseguenze della sua violazione, non indicando espressamente cosa debba succedere quando le parti realizzino un’operazione di finanziamento per l’acquisto di azioni proprie. Per identificare il corretto rimedio per l’inosservanza dell’articolo 2358, cod. civ., si deve partire dalla considerazione che la disposizione è imperativa: essa mira difatti a tutelare gli interessi terzi e “superiori” dei creditori della società, che potrebbero essere danneggiati da aumenti di capitale fittizi, senza reale accrescimento delle risorse di cui dispone la società. Se l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., configura disposizione imperativa, gli atti con i quali si viola detta disposizione sono nulli. Trova infatti applicazione l’articolo 1418, comma 1, cod. civ., secondo cui “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative”.
Gli atti di autonomia contrattuale che violano l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., in caso di finanziamento per l’acquisto di azioni sono 2:
- il contratto di finanziamento concesso dalla società al socio;
- il contratto di acquisto di azioni della società, posto in essere dal socio grazie alla provvista riveniente dal finanziamento erogato dalla società.
La Corte di Cassazione ha avuto modo di occuparsi di operazioni poste in essere in violazione dell’articolo 2358, comma 1, cod. civ., stabilendo che il divieto di assistenza finanziaria per l’acquisto di azioni proprie – in quanto diretto alla tutela dell’effettività del patrimonio sociale – ha carattere assoluto e va inteso in senso ampio. Ne consegue – sempre secondo la Cassazione – che è vietata qualsiasi forma di agevolazione finanziaria (avvenga essa prima o dopo l’acquisto), atteso che assume rilevanza il nesso strumentale fra il prestito e l’acquisto di azioni proprie, funzionale al raggiungimento da parte della società dello scopo vietato.
L’operazione baciata può considerarsi totalmente nulla quando l’intero finanziamento viene usato per l’acquisto delle azioni. Si tratta del caso in cui la banca presta, ad esempio, 100.000 euro a una persona e questa, subito dopo, acquista azioni della società per un valore corrispondente. L’intero finanziamento è stato usato esclusivamente per acquistare azioni della banca che lo ha erogato.
Un caso di nullità totale dell’operazione, per coincidenza dell’importo erogato e dell’esborso per l’acquisto di azioni, è stato affrontato in un decreto del Tribunale di Padova. La banca erogava un finanziamento di 200.000 euro, che veniva immediatamente usato per acquistare – per lo stesso importo – azioni della banca che aveva erogato il finanziamento. Il debitore successivamente falliva e la banca chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento per il credito residuo. Il Tribunale di Padova ritiene che le 2 operazioni (finanziamento + acquisto di azioni) siano collegate e ne dichiara la nullità. Il decreto del giudice patavino è interessante perché si sofferma sulle conseguenze della nullità. Il Tribunale di Padova afferma che sono nulle tutte e 2 le operazioni: sia il finanziamento sia l’acquisto delle azioni. La banca obietta che il debitore dovrebbe comunque restituire il capitale. Il giudice patavino non accoglie questa tesi, perché dà applicazione alla figura della compensazione impropria. È vero che l’operazione di finanziamento è nulla, ma è altrettanto vero che anche l’acquisto di azioni è nullo: la banca avrebbe diritto alla restituzione del finanziamento, ma l’imprenditore avrebbe diritto alla restituzione del prezzo pagato per le azioni. Le 2 poste si elidono reciprocamente, verificandosi una fattispecie di compensazione impropria. Ne consegue, in ultima istanza, che il credito della banca non può essere ammesso al passivo fallimentare.
Oltre alle baciate “totali”, esistono anche le baciate “parziali”, nel senso che solo una parte della somma erogata viene usata per l’acquisto delle azioni. Nella prassi è piuttosto raro che l’intera somma data a prestito venga usata per l’acquisto di azioni. Capita invece, con maggior frequenza, che solo una parte della provvista venga usata per acquistare le azioni.
La questione delle conseguenze della violazione parziale dell’articolo 2358, cod. civ., è stata affrontata in una sentenza del Tribunale di Treviso. Il Tribunale di Treviso constata che è stato erogato un finanziamento di 200.000 euro da parte di una banca, ma che non tutta la provvista messa a disposizione dalla banca è stata usata per acquistare le azioni, seppure sia stata utilizzata una parte consistente di essa (170.009 euro). Per questa ragione il Tribunale trevigiano dichiara la nullità dell’operazione nei limiti dell’importo usato per l’acquisto delle azioni (170.009 euro). Per questa cifra il giudice ritiene provato un vincolo di destinazione del finanziamento (= per l’acquisto delle azioni). Per la restante parte (poco meno di 30.000 euro) non sussiste alcun vincolo di destinazione e l’operazione non può considerarsi nulla. Si tratta dunque di una baciata che si potrebbe definire “parziale”.
Sempre in tema di baciate “parziali”, ossia per un importo inferiore rispetto a quello per cui è stato concesso il finanziamento, è interessante la posizione assunta in una sentenza del Tribunale di Udine. Il giudice accerta che una parte limitata della somma erogata è stata usata per acquistare azioni della banca finanziatrice (a fronte di un finanziamento di 150.000 euro, solo 45.050 euro vennero usati per gli acquisti di azioni). Secondo il Tribunale di Udine, la violazione dell’articolo 2358, comma 1, cod. civ., può determinare solo la nullità totale del contratto di finanziamento, e non una sua nullità parziale e, conseguentemente, dichiara la nullità dell’intero finanziamento. Questa soluzione del giudice udinese va spiegata meglio. Da un lato è vero che non si tratta qui di nullità di singole clausole, ma di nullità dell’intero contratto, nel senso che è il contratto di finanziamento di per sé a porsi in contrasto con la norma imperativa dell’articolo 2358, cod. civ.. Da un altro lato, tuttavia, la nullità sussiste “nella misura in cui” il finanziamento è stato usato per l’acquisto di azioni. Parrebbe insomma appropriato affermare che la nullità investe solo la parte dell’operazione per la quale vi è coincidenza fra finanziamento e prezzo di acquisto delle azioni. A meno di ritenere che la banca, senza la disponibilità del mutuatario ad acquistare le azioni, non avrebbe concesso il finanziamento. Questa è la conclusione cui giunge il Tribunale di Udine, accertando che l’erogazione del finanziamento era stata subordinata dall’istituto di credito all’acquisto – mediante parte della provvista riveniente da detto finanziamento – di azioni della banca.
L’applicabilità dell’articolo 2358, cod. civ., anche alle società cooperative
Va approfondita la questione se il divieto di finanziamenti per gli acquisti di azioni proprie si possa applicare anche al di fuori del contesto delle Spa, poiché l’articolo 2358, cod. civ. – formalmente – è dettato nell’ambito della disciplina della Spa. La Corte di Cassazione ha affermato che il principio enunciato dall’articolo 2358, comma 1, cod. civ., con riferimento alla Spa è espressione di un principio generale applicabile anche alla Srl.
Ma che ne è delle banche cooperative? Nella disciplina delle società cooperative non si trova una disposizione espressa che regoli i finanziamenti per gli acquisti di azioni proprie. Vi è solo l’articolo 2529, cod. civ., che concerne però “l’acquisto” delle proprie azioni, e non il loro finanziamento.
In difetto di una norma espressa sull’assistenza finanziaria nell’ambito delle società cooperative, opera l’articolo 2519, comma 1, cod. civ., secondo cui “alle società cooperative, per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano in quanto compatibili le disposizioni sulla società per azioni”. L’articolo 2358, comma 1, cod. civ., è compatibile con le società cooperative? Alcuni interventi giurisprudenziali hanno risposto in maniera positiva al quesito, affermando che l’articolo 2358, cod. civ., è compatibile con il regime delle società cooperative e trova dunque applicazione anche alle cooperative.
Il Tribunale di Padova, nel già citato decreto del luglio 2020, ha affermato l’applicabilità del divieto dell’articolo 2358, comma 1, cod. civ., anche alle società cooperative. Il giudice patavino ritiene che anche nelle società cooperative la tutela del capitale sia centrale, in quanto lo scopo mutualistico che le caratterizza deve essere perseguito per il tramite di una struttura imprenditoriale che operi secondo criteri di economicità. Ciò è tanto più vero nelle banche popolari, in quanto in detti istituti di credito la mutualità può convivere con finalità lucrative, rendendo ancora più compatibile per tali banche la disciplina della Spa. Il Tribunale di Padova rileva poi che è la stessa banca ad avere ritenuto applicabile a sé l’articolo 2358, cod. civ.: nel caso affrontato dal giudice patavino si trattava di Banca Popolare di Vicenza, e la banca aveva adottato apposita delibera dell’assemblea con la quale era stata autorizzata, ai sensi dell’articolo 2358, cod. civ., la sottoscrizione da parte di nuovi soci di azioni mediante finanziamenti della banca da restituirsi con rimborsi rateali.
Anche il Tribunale di Treviso, nella sentenza menzionata sopra, ritiene che l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., si applichi alle società cooperative. Un ostacolo all’applicabilità alle società cooperative del divieto di finanziamenti effettuati dalla società per gli acquisti di azioni della società medesima parrebbe essere dato dal fatto che, per la costituzione delle cooperative, non è previsto un capitale minimo: si veda l’articolo 2524, comma 1, cod. civ., che prevede che il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito. Tuttavia, il giudice trevigiano non reputa questo argomento decisivo. Difatti l’articolo 2358, cod. civ., non tutela una consistenza minima del capitale, ma la consistenza del capitale in sé considerata. Come si è visto sopra, se le azioni vengono acquistate con la provvista creata con i finanziamenti della società, il capitale non è effettivo, in quanto esso sarà incassato solo quando i soci avranno provveduto a restituire integralmente alla società i finanziamenti ricevuti. Per tutto il periodo in cui il finanziamento non sarà stato restituito, la società non avrà un patrimonio reale, ma solo un credito nei confronti dei soci. Questa situazione è potenzialmente pericolosa per i creditori della società, che potrebbero avere difficoltà a essere soddisfatti. Per sottolineare l’importanza della tutela dei creditori anche nelle società cooperative, il Tribunale di Treviso evoca l’articolo 2545-terdecies, cod. civ.. Si tratta della disposizione che prevede l’assoggettabilità a liquidazione coatta amministrativa delle cooperative (la norma stabilisce altresì che le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette, in alternativa, al fallimento: oggi liquidazione giudiziale). La par condicio creditorum che caratterizza dette procedure concorsuali è espressione del più generale principio della tutela dei creditori, tutela che vi deve essere già prima dell’assoggettamento a procedure concorsuali, e di cui l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., è espressione. Il Tribunale di Treviso continua la propria argomentazione affermando che sarebbe contraddittorio diminuire la tutela dei creditori proprio nell’ambito dell’attività bancaria per il solo fatto che gli istituti di credito rivestono la qualità di società cooperative per azioni (e non di Spa).
Anche il Tribunale di Udine, nella sentenza sopra menzionata, si è occupato dell’applicabilità alle società cooperative del divieto previsto dall’articolo 2358, comma 1, cod. civ.. Il giudice evidenzia che la disposizione tutela l’effettività del patrimonio sociale. Vero è che nelle società cooperativa non è previsto un patrimonio minimo corrispondente a un certo valore del capitale sociale; tuttavia, la consistenza patrimoniale delle società cooperative è comunque rilevante poiché esse rispondono delle proprie obbligazioni – come le società lucrative di capitali – solo con il patrimonio sociale. E anche il Tribunale di Udine dà peso al fatto che le cooperative sono assoggettate a liquidazione coatta amministrativa oppure a liquidazione giudiziale (articolo 2545-terdecies, cod. civ.), ossia a procedure che mirano a tutelare i creditori.
La prova del collegamento tra il finanziamento e l’acquisto
Affinché operi l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., e l’Autorità giudiziaria possa giungere a dichiarare la nullità del finanziamento e dell’acquisto di azioni, bisogna che fra le 2 operazioni (finanziamento e acquisto) sussista un collegamento negoziale. Occorre cioè che i danari siano stati dati dalla banca proprio al fine di acquistare le azioni. Si tenga presente che il collegamento negoziale non è praticamente mai dichiarato espressamente nei contratti: formalmente vi sono 2 distinti rapporti (finanziamento e acquisto azioni), separati l’uno dall’altro. Spetta al giudice comprendere se le 2 operazioni, nonostante i contratti tacciano sul collegamento negoziale, siano o meno collegate. Alcuni precedenti giurisprudenziali hanno trattato proprio il tema del collegamento negoziale rilevante ai sensi dell’articolo 2358, cod. civ..
Fra i precedenti più recenti può essere utilmente menzionata una sentenza del Tribunale di Venezia del giugno 2022. Due coniugi aprono un deposito titoli e acquistano 32.000 azioni di una banca pagandole 2.000.000 di euro. L’apertura del deposito titoli e l’acquisto di azioni avvengono in uno stretto lasso di tempo, nel mese di dicembre 2011. Il corrispettivo delle azioni viene pagato mediante addebito in conto corrente: i coniugi difatti disponevano di un’apertura di credito e la banca addebita il loro conto corrente per l’importo, appunto, di 2.000.000 di euro. La contestualità delle operazioni fa propendere per il collegamento negoziale. Il Tribunale di Venezia, tuttavia, vuole raggiungere la certezza sul punto e ammette la prova testimoniale richiesta dall’investitore. Viene sentito il funzionario di banca, gestore dei titoli, il quale rivela al giudice che il responsabile della banca gli aveva chiesto – in generale – di individuare dei clienti solvibili cui proporre operazioni baciate. Le operazioni da proporsi consistevano nell’erogazione di finanziamenti da parte della banca al fine di acquistare azioni, con la “promessa” che le azioni avrebbero reso l’1% all’anno. Il funzionario aveva poi contattato il marito della coppia, prospettandogli l’operazione, e il marito vi aveva aderito. Alla luce di questa prova testimoniale, il Tribunale di Venezia ritiene raggiunta la prova del collegamento negoziale tra il finanziamento (realizzato mediante addebito del conto corrente) e l’acquisto delle azioni. Non si tratta di un utilizzo della linea di credito su iniziativa del cliente, bensì di operazione sollecitata dalla banca e convenuta con il cliente. In conclusione, il giudice veneziano dichiara la nullità dei contratti collegati e dichiara che nulla è dovuto dai coniugi in adempimento degli obblighi contrattuali discendenti dagli affidamenti, con conseguente azzeramento della esposizione in conto corrente.
Se la banca ha erogato un finanziamento a un imprenditore commerciale, può capitare che ne subentri il fallimento (oggi: liquidazione giudiziale). In questo caso la banca deve chiedere la restituzione della parte del finanziamento non ancora rimborsata al curatore del fallimento, che è subentrato nella gestione dell’impresa ormai fallita. Il Tribunale di Padova, nel decreto del luglio 2020 menzionato sopra, ha affrontato il caso di una banca che, dopo aver erogato un finanziamento per l’acquisto di azioni a un imprenditore individuale, ha chiesto l’ammissione al passivo del proprio credito per essere nel frattempo fallito l’imprenditore. Il curatore non ammette il credito, affermando che si tratta di credito derivante da un’operazione nulla (per il collegamento negoziale tra finanziamento e acquisto delle azioni) e, come tale, non fa sorgere alcuna reale posizione di credito della banca istante. La banca fa opposizione davanti al Tribunale di Padova. Il giudice patavino deve comprendere se vi sia effettivamente una connessione fra il finanziamento e l’acquisto delle azioni. Difatti, se tale legame manca, l’operazione non può considerarsi come baciata e l’articolo 2358, comma 1, cod. civ., non opera. Il Tribunale di Padova afferma che la correlazione diretta fra il finanziamento concesso ai soci e l’acquisto di azioni della banca, rilevante ai sensi dell’articolo 2358, cod. civ., può provarsi anche tramite presunzioni o prove testimoniali. Nel caso affrontato dal Tribunale di Padova, nel contratto di finanziamento non era stato indicato l’uso che si sarebbe fatto della somma data a mutuo: in effetti, come già rilevato, quasi mai i contratti di finanziamento indicano lo scopo cui sono destinate le somme. Ciò nonostante, l’Autorità giudiziaria padovana ritiene provato il collegamento negoziale fra il finanziamento e l’acquisto delle azioni. Per giungere a questo risultato il giudice dà peso al fatto che le 2 operazioni sono del tutto coincidenti dal punto di vista temporale ed economico. Si tratta di un esempio di baciata “perfetta”:
- il finanziamento ammontava a 200.000 euro e furono acquistate azioni per il medesimo importo (o, meglio, per 200.025 euro);
- il finanziamento e l’acquisto di azioni furono effettuati lo stesso giorno.
La coincidenza degli importi e delle date delle operazioni sono significativi indici del collegamento negoziale fra i 2 contratti. Il Tribunale di Padova considera rilevante anche il fatto che la banca non avesse chiesto alcuna garanzia per la restituzione del finanziamento. Questa circostanza dimostra ulteriormente, secondo il giudice patavino, che la somma data a finanziamento non serviva per le attività dell’imprenditore, ma esclusivamente per acquistare le azioni della banca. In altre parole, solo fittiziamente il danaro era uscito dalla banca, in quanto vi era rientrato subito dopo sotto forma di prezzo per l’acquisto delle azioni. Per questa ragione, ossia non avendo di fatto perso la disponibilità del danaro, la banca non necessitava di particolari garanzie.
Fra i precedenti giurisprudenziali che si sono occupati di operazioni baciate, particolarmente approfondita è la sentenza del Tribunale di Treviso menzionata sopra. Una banca eroga un mutuo fondiario di 200.000 euro a una persona fisica. Detta persona, usando la provvista così messa a disposizione dall’istituto di credito, acquista 4.172 azioni della banca per un importo di 170.009 euro. Le azioni acquistate vengono date in pegno alla banca a garanzia della restituzione del mutuo. Nelle more della restituzione del finanziamento, la banca viene messa in liquidazione coatta amministrativa, con l’effetto che il valore delle azioni si azzera. La persona fisica acquirente delle azioni si preoccupa, perché la sua situazione è gravemente peggiorata dopo la messa in liquidazione della banca. Originariamente, a fronte del finanziamento, era titolare delle azioni e – vendendo le medesime – avrebbe potuto rimborsare il mutuo. Successivamente, con l’azzeramento del valore delle azioni, dalla vendita delle stesse non è possibile ottenere alcunché e dunque non è possibile ricavare una somma idonea a estinguere il mutuo. Per questa ragione l’acquirente delle azioni agisce in giudizio per far dichiarare la nullità del contratto di finanziamento per violazione dell’articolo 2358, comma 1, cod. civ.. Il Tribunale di Treviso accoglie la domanda dell’attore e, affermando il collegamento negoziale fra il finanziamento e l’acquisto delle azioni, dichiara la nullità del mutuo erogato per l’acquisto delle azioni. Dal momento che il finanziamento e l’acquisto delle azioni sono 2 contratti separati, non è sempre facile dimostrare il collegamento negoziale fra le 2 operazioni. Nel caso deciso dal Tribunale di Treviso, il giudice giunge peraltro alla conclusione che vi sia detto collegamento negoziale, valorizzando diverse circostanze:
- viene prodotta corrispondenza dalla quale risulta che il funzionario di banca aveva in più occasioni rappresentato la necessità di acquistare azioni per ottenere il finanziamento;
- fra la stipula del mutuo e l’acquisto delle azioni passa poco tempo;
- vi è correlazione quantitativa, anche se non perfetta, fra la provvista concessa a mutuo (200.000 euro) e il prezzo delle azioni (170.009 euro);
- non vi è alcuna altra plausibile giustificazione per l’operazione.
Infine, si è occupata di prova del collegamento negoziale anche la menzionata sentenza del Tribunale di Udine. La sequenza temporale degli eventi fu la seguente:
- 10 dicembre: erogazione del finanziamento;
- 10 e 11 dicembre: 2 distinti ordini di acquisto delle azioni;
- 31 dicembre: addebito sul conto corrente delle somme necessarie per acquistare le azioni.
Nel caso deciso dal Tribunale di Udine, vi è dunque una quasi perfetta coincidenza temporale fra l’esecuzione del contratto di mutuo e gli ordini di acquisto (il tutto si conclude nel giro di 24 ore) e una sfasatura di una ventina di giorni per l’addebito in conto. Si noti tuttavia che ciò che rileva dal punto di vista civilistico, nel senso di corretta identificazione del momento di conclusione dei contratti, sono gli ordini di acquisto; l’addebito in conto corrente è solo l’esecuzione dell’ordine impartito prima. Vi è dunque sostanziale coincidenza temporale nel caso di specie. Viene poi dimostrato davanti al Tribunale di Udine che fu la banca a contattare il cliente per proporgli un finanziamento. Il giudice rileva che si tratta di un’inversione della normale procedura: di solito sono i clienti a rivolgersi attivamente alla banca per ottenere un finanziamento. La società mutuataria dimostra altresì che, prima del finanziamento, versava in rilevanti difficoltà finanziarie: questa circostanza rende sì sensata la richiesta di un finanziamento, ma rende anche insensato – una volta ottenuto il mutuo – immobilizzare i proventi del finanziamento nell’acquisto di azioni invece di usarli per le necessità aziendali. In conclusione, il Tribunale di Udine, per le ragioni illustrate, ritiene provato il collegamento negoziale fra il finanziamento e l’acquisto delle azioni.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie“.