27 Aprile 2022

Il giudice può disconoscere la qualifica di Iap o coltivatore diretto

di Luigi Scappini
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La scheda di FISCOPRATICO

In un’ottica di perseguimento dei principi sanciti dalla Carta costituzionale, il Legislatore ha adottato una serie di misure atte a garantire, come previsto dall’articolo 44 Cost., “la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttivenonché l’aiuto alla “piccola e la media proprietà”.

Norma maggiormente fruita nel tempo è quella della c.d. piccola proprietà contadina, dapprima prevista in via temporanea con la L. 604/1954 e, successivamente, introdotta a regime con l’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, convertito con modifiche, con L. 25/2010.

La norma, come noto, prevede l’applicazione, in sede di acquisto di terreni da parte di coltivatori diretti e di Iap, iscritti alla previdenza agricola, dell’imposta di registro e ipotecaria in misura fissa e di quella catastale nella misura proporzionale dell’1%.

Recentemente la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8269 del 14.03.2022, si è preoccupata di ricordare come tale norma agevolativa debba obbligatoriamente essere richiesta in sede d’atto, pena la perdita della facoltà di fruizione.

Infatti, sebbene i Supremi giudici sottolineino che nell’ordinamento non sia rinvenibile un principio di carattere generale per cui “un’agevolazione non richiesta al momento dell’imposizione è irrevocabilmente perduta, potendosi anzi, alla luce dell’articolo 77 del d.P.R. 6 aprile 1986, n. 131, dedurre il principio contrario secondo il quale – sia pure nel rispetto dei limiti temporali previsti per richiedere il beneficio – è possibile rimediare all’erronea imposizione (cfr. Cass. n. 14122/2010)”, parimenti evidenziano come tale principio non sia applicabile in tema di piccola proprietà contadina.

Tale conclusione deriva dal principio per cui “anche un’agevolazione fiscale può essere richiesta in un momento successivo a quello dell’imposizione, ma solo a condizione che la normativa di riferimento non imponga al contribuente di farla valere con specifiche modalità”; fattispecie che si verifica proprio in merito alle agevolazioni inerenti la piccola proprietà contadina.

Preso atto che l’agevolazione deve essere richiesta in sede atto, in tale momento il contribuente deve essere in possesso dei requisiti soggettivi che passano dal vaglio notarile.

Nello specifico, il contribuente, come affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8278 del 14.03.2022, “se non è ancora in possesso dei requisiti (il c.d. Iap in itinere n.d.A), prima dell’atto è tenuto a presentare istanza alla Regione di riconoscimento della qualifica di Iap e ottenere l’iscrizione provvisoria all’Inps, mentre alla stipula dell’atto dovrà esibire la domanda di riconoscimento alla Regione della qualifica di Iap e il certificato attestante l’iscrizione all’Inps con riserva, dovendo poi risultare, nei ventiquattro mesi, in possesso dei requisiti Iap”.

Tale iscrizione previdenziale, proseguente l’ordinanza “non può che conseguire da una domanda presentata dal soggetto interessato (D.P.R. n. 476 del 2001, artt. 2 e 3) e l’eventuale retrodatazione dell’obbligazione contributiva (che, di quella iscrizione, costituisce l’effetto giuridico principale) implica che la richiesta di iscrizione (accolta con riserva) sia stata effettivamente presentata”.

Quando, al contrario, in sede di stipula notarile, il contribuente è già in possesso dei requisiti Iap, dovrà produrre il certificato rilasciato dalla Regione, ente delegato al riconoscimento di tale qualifica ai sensi dell’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 99/2004.

Tuttavia, il certificato rappresenta, secondo l’ordinanza n. 8272 sempre del 14.03.2022soltanto un atto del procedimento tributario inteso a verificare l’esistenza delle condizioni previste dalla legge agevolatrice e, dunque, un documento richiesto dalla legge a fini di prova del presupposto soggettivo ed oggettivo dell’agevolazione” con la conseguenza che rientra nei poteri del giudice valutare l’idoneità del certificato stesso in rapporto ai requisiti richiesti dalla norma agevolativa azionata.

Ne deriva che, ad esempio, come nel caso oggetto del contenzioso, viene meno l’agevolazione allorquando il coltivatore diretto, che, si ricorda, per essere tale deve direttamente e abitualmente dedicarsi alla coltivazione dei terreni e all’allevamento degli animali, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione del fondo e dell’allevamento, assuma a tempo pieno e indeterminato un lavoratore dipendente facendo venir meno il requisito richiesto.