Il giudizio di cassazione sul filtro in appello
di Luigi FerrajoliCon l’ordinanza n. 24630 depositata in data 19.11.2014 la Corte di Cassazione prende in esame la questione del ricorso per Cassazione presentato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. avverso la sentenza di primo grado, nell’ipotesi in cui il giudice di appello, nel dare attuazione al cosiddetto “filtro in appello” previsto dall’art. 348-bis c.p.c., dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’appello sul presupposto dell’affermazione che l’impugnazione non abbia una ragionevole probabilità di essere accolta.
L’ordinanza in esame, che invero contiene una pronuncia di estinzione del giudizio di legittimità per rinuncia al ricorso, appare interessante con riferimento al contenuto della relazione ex art. 380-bis c.p.c. del giudice relatore riportata nel provvedimento, che nell’interpretazione del disposto dell’art. 348-ter c.p.c. richiama integralmente i principi già enunciati nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 12034/14.
Nel caso di specie, in primo grado veniva rigettata la domanda dell’attore, il quale proponeva appello, che era dichiarato inammissibile con ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., poiché il giudice di secondo grado riconosceva non avere l’impugnazione proposta una ragionevole probabilità di essere accolta. L’originario attore presentava, quindi, ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 348-ter, comma 3 c.p.c. avverso la sentenza di primo grado.
Come è noto, ai sensi dei nuovi artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. introdotti con l’art. 54, comma 1, lett. a) del D.L. n. 83/2012 convertito nella L. n. 134/2012, il giudice di appello, che riconosca che impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta, deve dichiararne l’inammissibilità con ordinanza. La pronuncia di tale ordinanza comporta che, entro l’ordinario termine di sessanta giorni dalla comunicazione o – se anteriore – dalla notificazione di tale ordinanza (o, comunque, entro il termine di decadenza di sei mesi dal deposito di cui all’art. 327 c.p.c.) è proponibile ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado, con la precisazione che, ove la pronuncia di inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4) c.p.c..
La Corte di Cassazione chiarisce che il “filtro in appello” introdotto con la riforma del 2012, consistente nella valutazione di ragionevole non probabilità di accoglimento dell’appello, deve concretizzarsi in una valutazione “davvero sommaria”, risolvendosi in una “schematica conferma della validità delle ricostruzioni in fatto e delle decisioni in diritto operati dal primo giudice”. La natura necessariamente sommaria di tale valutazione impedisce che, nel successivo grado di legittimità, se ne possa operare una riconsiderazione in relazione:
- all’entità della probabilità di non accoglimento (“perché allora una tale rivalutazione implicherebbe ictu oculi un mero apprezzamento di fatto, sostituendo una valutazione di probabilità ad altra”);
- alla completezza dell’enunciazione delle ragioni su cui la non ragionevole accoglibilità è stata affermata (“perché una motivazione concisa è per definizione non del tutto esauriente”);
- alla fondatezza dei motivi dell’appello (“perché si risolverebbe nella necessità di riconsiderarli, ma appunto attraverso la proposizione delle contestazioni del loro rigetto ad un giudice sovraordinato rispetto a quello che pur sempre li ha disattesi”).
Sulla base di tali considerazioni discende – secondo la Corte di Cassazione – che “è l’intero grado di appello ad essere assorbito in una pronuncia sommaria”, con la conseguenza che “oggetto del giudizio di legittimità non è più, come di norma accade, la sentenza di secondo grado sul gravame, ma quella di primo grado sulla domanda”.
Pertanto, la Corte di cassazione chiarisce che:
- il conseguimento della definitività della pronuncia di primo grado per tardività della proposizione dell’appello, come ogni altra definizione in rito del gravame derivante dal riscontro meramente estrinseco ed esteriore dell’atto di gravame, e non quindi da una valutazione del gravame stesso in rito o in merito, comporta il consolidamento del giudicato e la preclusione di ogni ulteriore mezzo di impugnazione rilevabile anche d’ufficio dalla corte di legittimità;
- oggetto del ricorso per Cassazione ex art. 348-ter c.p.c. non possono essere questioni che siano già precluse al momento della proposizione dell’appello dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c.: in particolare il giudicato interno, anche implicito, formatosi in ragione della mancata impugnazione di uno o più capi della sentenza di primo grado comporta la preclusione, nel corso del medesimo processo, delle relative questioni.
Conseguentemente, in relazione ai requisiti di contenuto e forma che deve possedere il ricorso per Cassazione ex art. 348-ter c.p.c. è indispensabile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., che nel “ricorso sia fatta espressa menzione sia dell’integrale motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. e art. 348-ter, comma 1, c.p.c., sia dei motivi di appello”. Questo proprio “affinché sia evidente che sulle questioni rese oggetto del giudizio di legittimità non si sia formato alcun giudicato interno, essendo esse state prospettate adeguatamente al giudice di appello”.