14 Maggio 2019

Il lavoro sportivo dilettantistico e il codice del terzo settore – I° parte

di Guido Martinelli
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Il Ministero del Lavoro, in contemporanea alla discussione in Parlamento del disegno di legge delega per la riforma dello sport, collegato alla Legge di Bilancio 2019, ha attivato un tavolo tecnico, al quale sono stati invitati i rappresentanti sindacali, le associazioni dei giocatori di pallacanestro, calcio, rugby e pallavolo, le leghe di società (calcio, pallacanestro e pallavolo), i rappresentanti dei laureati in scienze motorie, al fine di iniziare a configurare, ai sensi dell’articolo 4 del citato disegno di legge, la nuova disciplina del lavoro nello sport, sia professionistico che dilettantistico.

Alle realtà presenti, dopo un primo incontro conoscitivo, è stato chiesto di formulare proposte ed inviare documentazione entro lo scorso 30 aprile, che il Ministero si sarebbe riservato di valutare e consolidare in un documento unico.

Proviamo ad elencare i punti di sintesi della proposta presentata dalle leghe dilettantistiche maschili e femminili del volley e del basket maschile:

  • distinzione del mondo sportivo in attività dilettantistica, semiprofessionistica e professionistica,
  • atipicità della prestazione di lavoro non professionistico rispetto ai parametri del lavoro autonomo o subordinato,
  • distinzione, nell’ambito dei soggetti che operano nello sport non professionistico, tra coloro i quali godono già di una posizione previdenziale e assicurativa per altra attività da loro svolta diversa da quella sportiva e soggetti che operano esclusivamente, o comunque in via prevalente nel mondo sportivo non professionistico. Nel primo caso (lavoratore già assicurato) la disciplina rimarrebbe integralmente quella oggi in vigore, nel secondo caso dovrà essere previsto obbligatoriamente un contratto che, a pena di nullità, preveda la determinazione dei compensi e dei fringe benefits al lordo di imposte,
  • mantenimento, in entrambi i casi, della fascia esente da imposte fino ad euro 10.000 annue,
  • uscita dell’area dell’attività sportiva non professionistica dalla gestione, per la parte previdenziale, spettacolo e ingresso nella gestione separata,
  • assoggettamento di tutti i coloro i quali svolgono attività sportiva continuativa, a titolo oneroso ed in via esclusiva, o comunque prevalente, ad una “flat tax” sotto il profilo fiscale ed una contribuzione previdenziale differenziata a seconda della natura degli operatori: in particolare, agli atleti dovranno essere applicate aliquote previdenziali ridotte, da pagarsi sotto forma di “contributo di solidarietà” (stante la circostanza che l’atleta difficilmente svolge questa attività per un numero di anni sufficiente a formare un congruo montante previdenziale), mentre alle figure tecniche e dirigenziali potrà essere applicata la contribuzione “piena”,
  • non assoggettamento a Inail in quanto duplicato della copertura assicurativa prevista per tutti i tesserati dall’articolo 51 L. 289/2002,
  • attività dei procuratori a carico esclusivo degli atleti,
  • sanatoria di tutti i rapporti contrattuali instaurati con la vigente disciplina.

In attesa di verificare quali saranno le reazioni alla proposta presentata dai due sport di squadra più rappresentativi dopo il calcio, la Giurisprudenza prosegue il suo percorso “altalenante”.

Merita menzione una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione.

Con la decisione n. 11492 del 30.04.2019 la Suprema Corte ha respinto il ricorso di una associazione sportiva dilettantistica, avverso la decisione della Corte d’Appello di Genova che l’aveva condannata, a seguito di una verifica ispettiva, al pagamento di contribuzioni e sanzioni nei confronti di quattro istruttori ai quali veniva applicata, per i compensi, la disciplina di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.

La Corte di legittimità ha respinto il ricorso in quanto ha ritenuto che una parte dell’attività svolta dalla palestra dell’associazione non fosse di tipo sportivo dilettantistico ma avesse un carattere commerciale e dunque i compensi pagati agli istruttori che tenevamo corsi riferibili ad attività di natura commerciale fossero soggetti a contribuzione”.

La Corte ha poi ribadito che in giudizio risulta a carico della associazione sportiva, secondo il costante insegnamento dei medesimi Giudici, dare: “prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte le prescrizioni imposte ad esse”.

Se, da un lato, questa lettura che viene data alla norma appare problematica perché rischia di escludere molte fattispecie concrete dalla possibilità di applicare i compensi sportivi, è altrettanto vero che, applicando il ragionamento della Corte a contrariis, viene confermata la possibilità che, in assenza di gestione con modalità commerciali, la disciplina dei compensi sportivi sia applicabile anche a soggetti che lavorano in favore dello sport come attività prevalente, ancorché non esclusiva e che l’opera degli istruttori non sia inquadrabile come rapporto di lavoro subordinato.

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