23 Maggio 2019

Il lavoro sportivo dilettantistico e il codice del terzo settore – III° parte

di Guido Martinelli
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L’analisi di due recenti sentenze della Corte d’Appello di Milano, unitamente agli approfondimenti proposti nei precedenti contributi, ci consentono di arrivare ad alcune considerazioni finali sull’inquadramento del lavoro sportivo dilettantistico.

Nella prima pronuncia (sentenza n. 70/2019 del 25.01.2019) si controverteva sulla sussistenza o meno, per una associazione sportiva dilettantistica, dell’obbligo di dare comunicazione al Centro per l’impiego e di operare la registrazione sul libro unico del lavoro delle prestazioni dei collaboratori il cui compenso viene fatto ricondurre alla disciplina dei redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.

La Corte d’Appello ha espresso le seguenti considerazioni: “ nell’ambito del lavoro sportivo, quindi, esclusa la necessità del progetto restano possibili le collaborazioni coordinate e continuativeva quindi confermato l’inquadramento dei lavoratori oggetto di ispezione nella categoria delle co.co.co., sussistendone tutti gli elementi, da potersi rinvenire anche all’interno delle associazioni sportive dilettantistiche, la cui normativa speciale (articolo 90 L. 289/02) ha previsto espressamente tale tipo di figura contrattuale per le collaborazioni di tipo amministrativo – contabile ma non in via esclusiva, non sussistendone le ragioni … ciò posto risulta corretta la sanzione applicata”. Con ciò condannando la associazione sportiva in merito alla mancata comunicazione.

Con la sentenza n. 121/2019 del 10.04.2019 la stessa Corte, esaminando la medesima fattispecie (applicazione della disciplina fiscale indicata a prestazioni di istruttori sportivi) ha ritenuto che: “emerge l’esistenza di un regime di favore che disciplina i compensi erogati da organismi (associazioni, società sportive, enti di promozione sportiva) riconosciuti dal Coni in relazione all’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica … detto regime prevede che i menzionati compensi debbano essere considerati “redditi diversi” e non redditi di lavoro autonomo o dipendente o d’impresa ed, in quanto tali, non sono soggetti a contribuzione previdenziale”. Con ciò, invece, in questo caso respingendo la pretesa dell’Inps.

Queste due decisioni ci consentono, in via di prima approssimazione, di provare a delineare, almeno sotto il profilo teorico, un inquadramento “lavoristico” della prestazione sportiva dilettantistica.

Non appare condivisibile l’assunto della prima sentenza, laddove assimila le prestazioni sportive dilettantistiche alle collaborazioni coordinate e continuative (e ai conseguenti obblighi).

Questo perché era stato lo stesso legislatore, come è noto, a definirle espressamente come tali nella L. 205/2017, con l’articolo 1, comma 358; provvedimento che, come è noto, è stato poi abrogato con il D.L. 87/2017 (c.d. Decreto Dignità), pubblicato nella G.U. n. 161 del 13.07.2018.

Non possiamo, pertanto, pensare che detta abrogazione sia o possa essere priva di conseguenze. Pertanto la risposta non credo si possa o si debba ricercare in una fattispecie, la collaborazione coordinata e continuativa, che comunque rientra tra quelle di lavoro autonomo e per le quali il legislatore ha espressamente abrogato la norma che così le qualificava.

Credo, invece, che si debba riprendere un concetto che era contenuto nella circolare 1/2016 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro: “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo – dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro……”. Dal richiamato chiarimento discende la possibilità di individuare, sul solco di quanto indica anche la seconda sentenza qui commentata, un tertium genus lavoristico rispetto alle forme di lavoro autonomo e subordinato.

L’esistenza di questa terza “categoria” lavoristica la troviamo confermata dal legislatore nel codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017).

Infatti, per ben tre volte lo ripete. La prima, quando all’articolo 17, comma 5, D.Lgs. 117/2017 parla dei volontari la cui prestazione “è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario  è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria”.

Queste tre tipologie vengono poi ripetute anche all’articolo 33, in merito alle organizzazioni di volontariato: “Possono essere assunti lavoratori dipendenti avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura e all’articolo 35, laddove prevede che: “Le associazioni di promozione sociale possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura anche dei propri associati”.

Ecco allora che emerge, ad avviso dello scrivente, che le prestazioni sportive dilettantistiche, laddove costituiscano, per “causa”, prestazioni di lavoro, non possano essere ricondotte, se non altrimenti dimostrato, alle fattispecie di cui agli articoli 2094 cod. civ. (per il lavoro subordinato) o 2222 cod. civ. (per il lavoro autonomo) ma debbano essere invece collocate in una categoria autonoma, disegnata anche per il terzo settore dal legislatore, che, per le sue peculiarità, costituisce una normativa speciale.

Quanto questo, poi, sia compatibile con l’articolo 37 Cost., in materia di tutela della maternità, o con l’articolo 38 Cost., in materia di tutela dei lavoratori, pare essere un ulteriore capitolo che meriterebbe di essere approfondito.

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