Il luogo di consumazione del reato: il principio di effettività
di Stefano RossettiL’articolo 18, comma 2, D.Lgs. 74/2000, dettando i principi della legge penaltributaria nello spazio, definisce il luogo in cui si considerano commessi i delitti dichiarativi. In particolare, viene previsto che:
- “il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale”;
- “se il domicilio fiscale è all’estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato”.
In buona sostanza, il legislatore penaltributario ha attribuito rilevanza territoriale, ai fini dell’individuazione del luogo di consumazione del reato, al luogo in cui è fissato il domicilio fiscale del contribuente.
La nozione di domicilio fiscale a cui rimanda l’articolo 18, comma 2, D.Lgs. 74/2000 è contenuta nell’articolo 58, comma 3, D.P.R. 600/1973, secondo cui “i soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa; se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività”.
Il legislatore fiscale ha ancorato i contribuenti (persone giuridiche) al territorio nazionale tramite un criterio di tipo formale, ovvero il luogo in cui si trova la sede legale.
In mancanza della sede legale occorre considerare:
- il luogo in cui è fissata la sede amministrativa;
- il luogo in cui è stabilità la sede secondaria o la sede della stabile organizzazione, in mancanza della sede amministrativa;
- in mancanza degli elementi sopra riportati, il luogo in cui è esercitata prevalentemente l’attività sociale.
Quindi, in linea generale, per i soggetti residenti, ai sensi dell’articolo 18, comma 2, D.Lgs. 74/2000, il luogo in cui si considera che vengano consumati i delitti in materia tributaria coincide con il luogo in cui il contribuente ha fissato la sede legale.
Recentemente la giurisprudenza, però, ha precisato che, ai fini dell’individuazione del luogo di consumazione dei reati dichiarativi, a rilevare non è sede legale (criterio formale) ma la sede effettiva dell’impresa (criterio sostanziale).
Più precisamente, la Corte di Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza n. 27606/2020 ha affermato che:
- la sede dell’attività “è il luogo in cui l’ente ha il centro principale della sua attività e tale luogo – indicato nell’atto costitutivo, nello statuto e riportato nel registro delle imprese – può essere diverso da quello in cui convenzionalmente è stata stabilita la sede legale, per cui in tal caso rimane solo il dato formale della indicazione “legale” della sede ma questa è, secondo il principio di effettività, altrove”;
- “il principio di effettività, che non è smentito dalla disciplina tributaria, è pienamente recepito dal diritto civile (settore dell’ordinamento a sua vota richiamato dal diritto tributario) e processuale civile, dove per sede (effettiva) si intende il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente”.
Ad avviso della Corte di Cassazione, dunque, ai fini dell’individuazione del luogo di consumazione dei reati dichiarativi, occorre fare riferimento alla nozione di sede dell’amministrazione valida ai fini dell’articolo 73, comma 3, Tuir.
Sotto il profilo strettamente tributario, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è piuttosto monolitica nel ritenere che la sede dell’amministrazione deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente (da ultimo Cassazione n. 16697/2019).
Quindi, la sede dell’amministrazione, sia ai fini tributari sia ai fini penaltributari, deve essere individuata nel luogo da cui provengono gli impulsi volitivi di carattere gestionale come luogo concreto di formazione ed espressione di volontà della società.
In conclusione, il principio di effettività, richiamato dalla Corte di Cassazione, evita che il contribuente, nella prospettiva di incorrere nella leva penale per i reati in materia di dichiarazione, possa scegliere il giudice competente fissando la sede legale in un luogo non coincidente quello in cui viene concretamente l’attività d’impresa.