Il manuale delle procedure di studio
di Michele D’Agnolo
Sovente, soprattutto nel periodo che precede l’impegnativo lavoro di stesura ed invio dei bilanci e delle dichiarazioni dei redditi, mi capita di essere contattato da qualche collega che, avendo conosciuto a qualche corso di formazione o attraverso le pubblicazioni la mia attività in campo organizzativo, mi chiede se gli posso fare omaggio delle mie procedure di studio.
Passo spesso per venale o antipatico e la cosa non mi fa piacere, anche perché non è questo il punto.
Occorre chiarire innanzitutto di che cosa si tratta. Secondo una certa filosofia organizzativa, tutte le attività che vengono svolte all’interno dello studio possono essere viste come processi, cioè come sequenze di attività che si svolgono nel tempo. A esempio, il processo contabile parte con la stipula di un mandato professionale, continua con la periodica raccolta della documentazione contabile del cliente, si sviluppa con l’elaborazione delle scritture per il libro giornale, dei libri IVA, la liquidazione dei tributi da versare con il modello F24, si completa con le stampe e così via.
La descrizione o rappresentazione verbale o grafica del processo prende il nome di procedura. Di solito si fanno in forma sintetica, o di punti elenco, mentre i colleghi più sofisticati e informatizzati usano dei diagrammi di flusso o flow chart. Le procedure possono essere cartacee o – sempre più spesso – elettroniche. Le procedure di ultima generazione sono addirittura incorporate nel software di gestione del flusso di lavoro e ti accompagnano passo a passo nelle attività da svolgere. Le procedure possono coprire tutte o solo parte delle attvità dello studio ed essere eventualmente compendiate in un vero e proprio manuale.
Avere una procedura scritta può essere utile per ridurre gli ingenti rischi professionali che derivano oggi dal saltare un passaggio o dimenticare la scadenza di una pratica. Inoltre consente di ottenere dagli addetti un comportamento uniforme, per esempio nell’archiviazione o nell’approccio al cliente, e permette al professionista di gestire lo studio per eccezioni. Cioè di intervenire solo quando capita qualcosa non previsto dalla procedura. Avere una procedura scritta significa infine avere una pietra di paragone certa per valutare la diligenza e l’efficienza dei nostri addetti di studio. Una procedura scritta è per il diritto del lavoro una disposizione di servizio.
Una delle cose più difficili da determinare è il grado di dettaglio della procedura. Come google maps possiamo esaminare la terra da molte altezze diverse e carpire un maggiore o minor grado di dettaglio. La risposta è che la mappa non è il territorio e quindi la rappresentazione più efficiente è quella che contiene il minimo indispensabile di informazioni per non perdere la strada di casa. Come i sassolini di Pollicino.
Costruire una procedura da zero è molto faticoso e il risultato ottenuto – provare per credere – non dà assolutamente ragione dello sforzo. Una sola paginetta può richiedere anche mezza giornata di lavoro. Sembra quasi di lavorare su una perizia. Comprendo quindi che i colleghi siano tentati di prendere la scorciatoria. Cosa vuoi che costi a Michele mandarmi una delle sue?
Sono reticente perché tanta roba la trovate già in giro. Ormai molte procedure di studio esistono già abbozzate all’interno dei manuali pratici fiscali e contabili di uso comune. Altri scampoli di organizzazione si trovano nelle checklist e schede pratiche che i fornitori di formazione ci allegano come materiale del corso. Non sempre sono nel formato giusto, ma ci possono aiutare a comprendere la sequenza delle attività principali, il cosiddetto blueprint. Poi è più facile scendere nel dettaglio. Un qualsiasi motore di ricerca su web ci permette di ottenere addirittura esempi diretti di moltissime procedure, tratti da manuali ISO 9000 di colleghi o da lavori fatti dalle sempre più numerose commissioni di studio degli ordini e del Consiglio Nazionale. Semmai il problema è che c’è troppo materiale, non troppo poco.
Ma il vero problema è che una procedura regalata non serve a nulla. Perché è la mia e non la vostra.
Ricordo una riunione con un capannello di professionisti, dove decantavo i vantaggi di avere un sistema di procedure scritte per governare lo studio. Vengo improvvisamente interrotto da una giovane collega che prende la parola e mi spiega come a suo giudizio le procedure scritte dello studio sono una inutile sovrastruttura. Mi racconta che per mesi nel tragitto tra casa e studio aveva affidato ad un registratore digitale le sue considerazioni per costruire il migliore sistema organizzativo del mondo. Una povera impiegata aveva sbobinato tutto, con la compagnia del rumore di fondo dell’autostrada, e aveva predisposto un manuale che fu consegnato una copia a ciascun dipendente, come fosse un Vangelo. Si meravigliava, la collega, del fatto che il manuale era stato utilizzato dai più per alzare il video del computer a pari degli occhi o per livellare la scrivania traballante. In altri casi era invece finito in quell’angolo della scrivania lontano lontano, dove mettiamo le pratiche che speriamo si risolvano da sole.
Non stupisce affatto che un manuale di procedure, non condiviso dagli addetti, non sia mai stato adottato. Un manuale costruito e calato dall’alto, non indurrà alcun cambiamento nel modo di lavorare degli addetti. Anzi screditerà a livello direzionale il professionista che lo propone. Soltanto un manuale che nasca dall’intervista o ancor meglio dal dibattito maieutico degli addetti, di tutti gli addetti che lo dovranno utilizzare, sarà un manuale condiviso e accettato. Manuale che è costoso non in termini di consulenza ma in termini di ore interne dedicate. Manuale che è prezioso, si badi bene, non per il risultato ma per il percorso. È invero rarissimo che un addetto di uno studio efficacemente proceduralizzato abbia bisogno di guardare dentro il manuale perché quasi sempre si ricorda bene della discussione, dell’audit che è stato fatto al suo modo di lavorare. Il grande vantaggio delle procedure fatte su misura è che inducono titolari e addetti dello studio a fermarsi e a riflettere insieme su come si lavora, staccando almeno per un attimo la spina al frullatore.