30 Novembre 2013

Il maxi-emendamento alla stabilità manda in pensione l’esenzione start up

di Luigi Scappini
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È durata un lustro e qualche mese l’agevolazione consistente nell’esenzione da tassazione dei capital gain in ipotesi di reinvestimento in aziende in fase di start up, costituite da non più di tre anni, svolgenti la medesima attività della società le cui quote o azioni sono state dismesse. L’esenzione è ammessa nel limite il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei 5 anni anteriori alla cessione, per l’acquisizione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, e di beni immateriali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e sviluppo.

Mentre gli investitori sono ancora in attesa di sapere, a distanza di un anno dall’introduzione dell’agevolazione, come sarà detassato il loro investimento nelle cosiddette start up innovative, di certo c’è che, con un emendamento alla legge di stabilità per il 2014, viene abrogata l’agevolazione introdotto con l’articolo 3 del D.L. n. 112/2008.

A dire il vero, l’agevolazione concessa non rientra certamente tra quelle maggiormente utilizzate alla luce della sua complessità o, per meglio dire, rigidità dei parametri richiesti.

Ai sensi dell’articolo 68, commi 6-bis e 6-ter del Tuir, le plusvalenze di cui all’articolo 67, derivanti dalla cessione di partecipazioni in società di persone (escluse le società semplici ed enti equiparati) o di capitali residenti in Italia, realizzate ai sensi delle lettere c) e c-bis) non concorrono a formare il reddito imponibile al rispetto di determinate stringenti condizioni.

In primis, le partecipazioni devono essere detenute da almeno un triennio. In caso di acquisti stratificati nel tempo, si deve applicare il criterio Lifo, con l’ulteriore precisazione che la data da prendere a riferimento per il calcolo temporale è quella di cessione, a prescindere da quella di riscossione del corrispettivo.

Secondo requisito richiesto è che la cessione abbia a oggetto titoli partecipativi, inclusi, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la C.M. n. 15/E/2009, titoli e diritti attraverso cui possono essere acquistate partecipazioni (a esempio obbligazioni convertibili e diritti di opzione), in società costituite da non più di 7 anni. La stessa circolare ha poi precisato che, in ipotesi di operazioni di fusione o di scissione intervenute medio tempore, ai fini della verifica temporale, si considerano anche gli anni di vita delle società fuse o scisse. Pertanto, l’agevolazione non spetta qualora anche soltanto una delle società da cui deriva quella risultante dall’operazione straordinaria risulti costituita da più di 7 anni rispetto alla data della cessione.

Ai fini dell’esenzione, infine, entro un biennio dal conseguimento delle plusvalenze, le stesse devono essere reinvestite, attraverso la sottoscrizione del capitale sociale o l’acquisto di partecipazioni già emesse, in società che svolgono la medesima attività e che siano delle start up costituite massimo da un triennio.

Tale limite temporale è speculare a quello del possesso e come sottolineato da Assonime con la circolare n. 50/2008L’intento è evidentemente quello di agevolare solo le cessioni di partecipazioni in società che hanno già superato la fase di start-up e non il passaggio da una società all’altra che si trovino entrambe i fase di avvio. naturalmente, il presupposto della durata almeno triennale del rapporto partecipativo esclude dall’agevolazione anche l’ipotesi di disinvestimento parziale e di reinvestimento nella stessa società, trattandosi di un presupposto incompatibile con la necessità di effettuare il reinvestimento in società costituite da meno di tre anni”.

In merito a tale requisito dello svolgimento della medesima attività, da intendersi come attività compresa in un medesimo studio di settore anche se con diverso codice ATECO, lascia perplessi la stringenza di requisito richiesto rispetto alla ratio della norma che dovrebbe essere quello di sviluppare imprese in fase di start-up.

Nel caso in cui il cedente di fatto non procede al reinvestimento nei termini previsti dovrà ricondurre a tassazione la plusvalenza nei termini e con le modalità previste dal regime di tassazione per cui ha optato.

In ipotesi di regime dichiarativo procederà a indicare la plusvalenza nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui è scaduto il termine biennale.

In caso di vigenza del regime del risparmio amministrato, l’iter da seguire sarà quello di comunicare all’intermediario la decadenza dall’agevolazione e mettere a disposizione dello stesso la provvista per il pagamento dell’imposta e degli interessi.

Più complessa è la procedura in ipotesi di opzione per il regime di risparmio gestito, in quanto la sussistenza dei requisiti per l’agevolazione compete al gestore che in caso di mancato reinvestimento nel biennio, effettuerà al termine del biennio stesso una rettifica del risultato di gestione di segno opposto a quella operata al momento della cessione, tenendo conto degli interessi dovuti sull’imposta non versata nell’anno in cui si è realizzata la plusvalenza.

Da ultimo, si ricorda, come peraltro già evidenziato, che il comma 6-ter individua il limite agevolabile nel “quintuplo del costo sostenuto dalla società” le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei 5 anni antecedenti alla cessione, per l’acquisizione o la realizzazione interna di beni materiali diversi dagli immobili, beni immateriali e spese di ricerca.