Il meccanismo di compensazione a due vie ha natura tributaria
di Stefano ChirichignoVittoria SegreQuando, ormai quasi due anni fa, i produttori si videro arrivare fatture emesse dal GSE con la causale “rettifica del prezzo di cessione dell’energia ai sensi dell’art. 15 bis del Decreto Legge 27 gennaio 2022, n. 4,- Contratto XYZ”, la registrazione obtorto collo della “pseudofattura” del GSE – alla stregua di un qualsiasi documento di addebito (magari solo in contabilità generale senza transitare per i registri Iva) – fu una soluzione di fatto obbligata. È chiaro che tali fatture non potevano essere serenamente “respinte” (come, senza tema di smentita, avrebbero dovuto) dai produttori di energia che tutto avrebbero voluto fuorché che tale “respingimento” aprisse un tavolo di discussione a due con il GSE (dato il suo ruolo di “gestore” e come storicamente lo ha interpretato).
Era pressoché inevitabile che la scelta del contenzioso davanti al TAR potesse farsi preferire per l’immediatezza e la speranza di poter arginare l’emorragia; si è, per tale via, giunti all’ordinanza n. 1744/2023 del TAR di Milano che ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea la valutazione della compatibilità della norma interna con il diritto europeo. Lo stesso Consiglio di Stato, che con ordinanza n. 1126/2023 aveva sospeso in via cautelare gli effetti della sentenza n. 340/23, con cui il TAR Lombardia aveva annullato la delibera dell’ARERA, su cui si fonda l’atto oggetto di ricorso, ha rinviato la discussione di merito già fissata per il 5.12.23 ad altra data, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia Europea.
Tuttavia, seppur attraverso l’onerosa strada del solve et repete era prevedibile che prima o poi ci si sarebbe rivolti (con i medesimi obiettivi di fondo del ricorso al TAR) alle Corti di Giustizia Tributarie, facendo leva sulla natura di prestazione imposta, sostanzialmente un tributo, per insindacabile scelta legislativa, determinato in termini di differenza di prezzo, ma che opera per così dire su una sfera differente (quella delle prestazioni imposte) e quindi, per inciso, del tutto estraneo al campo di applicazione dell’Iva. Se è vero che un tributo viene identificato con riferimento a
- il definitivo depauperamento patrimoniale del soggetto inciso,
- la coattività della prestazione patrimoniale richiesta (quindi non una modifica di un rapporto sinallagmatico),
- la destinazione del gettito ad enti pubblici vale a dire la funzione pubblica della prestazione patrimoniale imposta,
sembrava arduo affermare che uno di essi difetti nel caso di specie.
Ed in effetti in tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, con la sentenza 355/1/2024, pur dando conto dell’ampia motivazione di segno opposto rinvenibile nella costituzione in giudizio del GSE, aprendo la strada ad analoghe azioni di rimborso quale che sia la modalità con cui è stato assolto l’”obolo” in questione. Sarebbe stato interessante leggere su quali basi il GSE contesti la natura tributaria del prelievo, tenendo presente che la norma in questione interviene su un prezzo che ha una base contrattuale che può essere violentata solo in virtù di una prestazione patrimoniale imposta in base ad una fonte autoritativa che faccia leva sugli interessi e su finalità collettive di rango superiore rispetto a ciò che è legge tra le parti.