Il Metaverso e gli NFT: possibilità di business e di guadagno
di Alessandra FabbriDa quando, in tempi assai recenti, il padre fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha deciso di rinominare la propria società “Meta”, il termine “metaverso” ha cominciato a correre come mai prima e a far parlare di sé con sempre maggior frequenza e insistenza, anche se per gran parte delle platee esso rappresenta tutt’ora un concetto nebuloso e astruso.
Con il termine “metaverso” si fa riferimento a uno spazio collettivo virtuale condiviso, erede evoluto e migliorato di quelli che pretenziosamente potremmo definire gli “antenati” crypto-assets e blockchain, frutto di una convergenza e fusione tra mondo reale e digitale all’interno del quale, operando attraverso un alter-ego virtuale, è possibile concludere negozi aventi effetti nella realtà fisica.
Volendo banalizzare il concetto sopra espresso è possibile affermare che “sfruttando” questo nuovo spazio alternativo digitale, il metaverso, un investitore, attraverso il proprio avatar, possa partecipare a un negozio virtuale, per esempio, all’acquisto di un’opera d’arte o di un marchio reale e, se concluso positivamente, portare nel mondo reale il bene e/o il vantaggio virtualmente acquisito.
La finalità principale di tale mezzo è quella di creare una realtà speculare a quella fisica “depurata”, però, da qualsiasi limite, incertezza e rischio caratterizzante la fugacità terrena, permettendo, così, agli investitori di lavorare, interagire e negoziare in una dimensione perfetta che funge da trait d’union tra reale e virtuale.
È evidente come le prospettive di sviluppo e di guadagno per un business nato nel mondo reale attraverso l’utilizzo e le potenzialità offerte da un simile strumento virtuale, ancora effettivamente in fase embrionale, possano essere talmente ampie da sembrare difficilmente immaginabili e prevedibili, ma, comunque, assai allettanti per le aziende.
Il sopradescritto universo parallelo basa la propria natura crittografica e operativa sulla blockchain, paradigma tecnologico condiviso e immutabile a cui vanno ricondotti il protocollo Bitcoin, gli smart contracts, i token, le cryptovalute e, da ultimi in ordine di apparizione, i Non-Fungible Token, c.d. NFT, la cui diffusione sta assumendo velocità e portata esponenziali; essi sono token crittografici, ovvero codici alfa-numerici, incorporanti diritti su beni digitali o fisici, che vantano tra le proprie peculiarità l’unicità e la non modificabilità del certificato di autenticità digitale in essi incorporata, la non fungibilità e la capacità di poter circolare senza che un soggetto terzo debba svolgere alcuna attività di intermediazione.
Da questa caratteristica di non replicabilità, immodificabilità e non sostituibilità discende per il detentore-investitore garanzia di esclusività, non divisibilità e protezione digitale, elementi in forza dei quali gli NFT vengono “temporaneamente” fiscalmente assimilati a opere d’arte, piuttosto che a oggetti rari da collezione, beni di nicchia o rifugio, ma per i quali, va sottolineato, l’attuale Ordinamento giuridico e fiscale nazionale non ha previsto alcuna disciplina ad hoc, come pure l’Amministrazione finanziaria non ha pubblicato alcuna specifica delucidazione.
A onor del vero va precisato che l’impreparazione e la scarsa reattività dimostrata dal legislatore domestico circa la nuova tematica non risulta essere una peculiarità solamente italica ma sembra accomunare un po’ tutti i Paesi; unica nota controcorrente positiva deve, invece, essere riconosciuta al Regno Unito ove l’HMRC, con la pubblicazione del Manual CRYPTO22600 “Cryptoassets for individuals: Capital Gain Tax: determining the location of exchange tokens” ha provato a fornire qualche indicazione circa il trattamento fiscale da applicare specificatamente agli NFT: in particolare, è stato chiarito che, nel caso in cui il “prodotto virtuale” abbia come sottostante un bene fisico quale l’oro, è consigliabile utilizzare un approccio di tipo “look through” e localizzare il “diritto digitale” ove si trova materialmente suddetto bene, mentre, se il prodotto virtuale non si “erge” su alcun bene, il criterio più appropriato sembra essere quello della residenza del beneficiario.
In entrambe le casistiche, comunque, al regime fiscale applicato in base alla localizzazione si affiancano gli eventuali obblighi di monitoraggio.
Ne discende che, per quanto attiene al panorama domestico, il metaverso, i nuovi prodotti del mondo digitale e il temporaneo e voluto vuoto legislativo, costituiscono un connubio indubbiamente positivo e favorevole di potenzialità e occasioni per tutte quelle aziende, e, più in generale, per gli investitori che desiderano costruire lecitamente business rilevanti garantendosi, così, guadagni importanti.