Il nuovo principio contabile OIC 9 sulle svalutazioni delle immobilizzazioni
di Fabio Giommoni
Le immobilizzazioni materiali e immateriali sono soggette alla regola di valutazione prevista dall’art. 2426, comma 1, n. 3) del C.C., in base alla quale, qualora, alla data di chiusura dell’esercizio, il bene risulti durevolmente di valore inferiore al costo “storico” (di acquisto o di produzione), al netto dei fondi ammortamento, lo stesso deve essere iscritto a tale minor valore.
Nella bozza del nuovo principio contabile OIC 9, in consultazione fino al 28 febbraio 2014, l’OIC ha ridefinito le modalità e i criteri da utilizzare al fine di determinare le svalutazioni delle immobilizzazioni, a fronte di perdite durevoli di valore, precedentemente contenute nei principi contabili OIC 16 (immobilizzazioni materiali) e OIC 24 (immobilizzazioni immateriali).
In particolare, viene previsto un approccio “ordinario” di natura finanziaria, mutuato dai principi contabili internazionali IAS/IFRS, ed un approccio “semplificato” basato sulla capacità di ammortamento, che può essere adottato dalle imprese di minori dimensioni.
Il nuovo OIC 9 conferma innanzi tutto che si ha una perdita durevole di valore quando il costo di iscrizione dell’immobilizzazione supera il suo “valore recuperabile”, il quale è rappresentato dal maggiore tra il “valore in uso” e il presumibile valore realizzabile tramite l’alienazione del bene. Tuttavia, quale riferimento per il valore di alienazione viene introdotto il concetto di “valore equo” o “fair value”, di derivazione IAS/IFRS, definitivo come l’”ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività in una libera transazione fra parti indipendenti, al netto dei costi di vendita”.
Il valore in uso è invece definito come “il valore attuale dei flussi di cassa attesi da un’attività o da una unità generatrice di flussi di cassa”, mentre un’unità generatrice di flussi di cassa è definita come “il più piccolo gruppo identificabile di attività che include l’attività oggetto di valutazione e genera flussi finanziari in entrata che siano ampiamente indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività”.
Infatti, se non è possibile stimare l’importo recuperabile di una singola attività, in quanto non produce flussi di cassa autonomi rispetto alle altre immobilizzazioni, la perdita durevole di valore deve essere determinata con riferimento ad un’intera unita generatrice di flussi di cassa (UGC). In tal caso l’eventuale perdita durevole di valore rilevata deve essere imputata a riduzione del valore contabile delle attività che fanno parte della UGC sulla base del seguente ordine:
a. in primo luogo, al valore dell’avviamento allocato sulla UGC;
b. infine, alle altre attività proporzionalmente, sulla base del valore contabile di ciascuna attività che fa parte dell’UGC.
Poiché ai fini del confronto con il valore di bilancio del bene si prende in considerazione il maggiore dei due valori sopra descritti, viene chiarito che non è sempre necessario determinare sia il valore equo di un’attività sia il suo valore d’uso, in quanto è sufficiente che uno dei due valori risulti superiore al costo di iscrizione in bilancio affinché l’attività non abbia subito una riduzione di valore.
Per la determinazione del valore equo deve farsi in primo luogo riferimento al prezzo pattuito in un accordo vincolante di vendita stabilito in una libera transazione o il prezzo di mercato in un mercato attivo. Se non esiste un accordo vincolante di vendita né alcun mercato attivo per un’attività, il valore equo è determinato in base alle migliori informazioni disponibili per riflettere l’ammontare che la società potrebbe ottenere, alla data di riferimento del bilancio, dalla dismissione dell’attività in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili, dopo aver dedotto i costi di dismissione. Al riguardo, devono essere considerati i risultati di eventuali recenti transazioni per attività similari effettuate all’interno dello stesso settore industriale.
Per quanto riguarda il valore d’uso l’approccio “ordinario” prevede che lo stesso sia determinato, secondo una logica finanziaria propria degli IAS/IFRS (impairment test previsto dallo IAS 36), sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri che si prevede abbiano origine dall’attività oggetto di “impairment”.
In particolare, il calcolo del valore d’uso comprende le seguenti fasi:
a. stima dei flussi finanziari futuri in entrata e in uscita che deriveranno dall’uso continuativo dell’attività e dalla sua dismissione finale;
b. applicazione del tasso di attualizzazione appropriato per detti flussi finanziari futuri.
Le società di minori dimensioni, ovvero quelle che per due esercizi consecutivi non superino due dei tre seguenti limiti:
- numero medio dei dipendenti durante l’esercizio superiore a 250;
- totale attivo di bilancio superiore a 20 milioni di euro;
- ricavi netti delle vendite e delle prestazioni superiori a 40 milioni di euro
hanno la possibilità di evitare l’oneroso metodo finanziario ed adottare invece l’approccio “semplificato”, in base al quale, ai fini della verifica della recuperabilità delle immobilizzazioni, si confronta la capacità di ammortamento dei futuri esercizi con il loro valore netto contabile iscritto in bilancio.
Il test di verifica delle recuperabilità dei cespiti si intende superato quando i risultati attesi futuri indicano che, in linea tendenziale, la capacità di ammortamento complessiva (relativa all’orizzonte temporale preso a riferimento, che generalmente non supera i 5 anni) è sufficiente a garantire la copertura degli ammortamenti.
La verifica della sostenibilità degli investimenti è basata sulla stima dei flussi reddituali futuri riferibili alla struttura produttiva nel suo complesso e non sui flussi derivanti dalla singola immobilizzazione. Tuttavia, nel caso in cui la società presenta una struttura produttiva segmentata in rami d’azienda che producono flussi di ricavi autonomi è preferibile applicare il modello di svalutazione in oggetto ai singoli rami d’azienda individuati. L’eventuale perdita è attribuita prioritariamente all’avviamento, se iscritto in bilancio, e poi agli altri cespiti, in proporzione al loro valore netto contabile, salvo che circostanze oggettive consentano l’imputazione diretta della perdita alle singole immobilizzazioni.
Il fatto che nel periodo preso a riferimento alcuni esercizi chiudano in perdita non implica un obbligo di svalutare le immobilizzazioni, a condizione che altri esercizi dimostrino la capacità di produrre utili che compensino tali perdite.