Il nuovo redditometro “simula” lo studio di settore
di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
L’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, rubricato “Rettifica del reddito delle persone fisiche”, nei commi da 4 a 8 disciplina il cosiddetto “redditometro”, sub specie del più ampio genus dell’accertamento sintetico, metodo accertativo che quantifica il reddito complessivo netto attribuibile al soggetto passivo d’imposta, prescindendo dall’individuazione delle effettive fonti di reddito.
La norma, profondamente novellata dalla Legge n.413/1991 con effetto dall’1.1.1992, è rimasta a lungo immutata per poi essere significativamente incisa dal D.L. n. 78/2010, che pur ne ha preservato la logica sottostante. Un’esaustiva trattazione della materia impone un breve excursus storico.
La Legge n.825/1971, contenente la delega legislativa al Governo per la riforma tributaria, ha delineato un sistema contraddistinto da un generalizzato ricorso all’accertamento analitico, riservando alle ricostruzioni reddituali in senso lato un ruolo marginale e secondario.
Con il passare degli anni, tuttavia, questa logica è stata progressivamente (e rapidamente) abbandonata, nella consapevolezza dell’impossibilità/incapacità dell’Amministrazione Finanziaria di svolgere efficacemente il proprio compito.
Il cambio di rotta è andato nella direzione di estendere significativamente la facoltà degli uffici, in sede di accertamento, di avvalersi della prova per presunzioni, che presuppone la possibilità logica di desumere da un fatto noto e non controverso il fatto da accertare, sul presupposto del sussistente nesso di causalità tra i due.
In questo solco, si colloca il meccanismo accertativo previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 il quale, nella formulazione ante novella recata dal D.L. n. 78/2010, statuiva che l’Ufficio poteva, indipendentemente dai contenuti dei commi precedenti e dal successivo art. 39 (il quale dispone in merito alla determinazione del reddito in via analitica, n.d.r.), sulla base di elementi e circostanze certi, determinare il reddito complessivo netto del contribuente in via sintetica “in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”.
La norma ha trovato un utilizzo quanto mai limitato nel corso degli anni, precipuamente a motivo della ritenuta inadeguatezza degli indicatori di capacità contributiva, dai più considerati “antistorici”. Tuttavia, la consapevolezza che una “radiografia” del tenore di vita del contribuente, se adeguatamente soppesata, poteva (può) realmente contribuire a riassorbire le consistenti sacche di evasione presenti nel Belpaese, ha nuovamente spostato l’attenzione del legislatore sulla modalità di accertamento sintetico di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, il quale, per l’effetto, è stato così (ri)conformato dall’art. 22 del D.L. n. 78/2010:
- comma 4: prevede la determinazione sintetica del reddito sulla scorta delle spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo di imposta (cd. “sintetico puro”);
- comma 5: prevede che la determinazione sintetica del reddito può fondarsi anche sul contenuto induttivo di elementi indicatori di capacità contributiva, anche in questo caso individuati con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (cd. “redditometro”).
Di tutta evidenza che mentre il “sintetico puro” è fondato su elementi certi dai quali desumere, mediante un meccanismo chiaramente presuntivo, una determinazione del reddito comunque ipotetica, il “redditometro” è fondato invece su elementi in larga misura incerti.
Questa scelta di fondo ha subito indotto il legislatore ad introdurre un filtro, costituito dal contraddittorio preventivo, ritenuto obbligatorio. Tale impostazione innegabilmente risente delle pronunce rese a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione nel dicembre 2009 (n. 26635 e segg.) in seno alle quali, con riferimento agli Studi di Settore, fu affermata la natura meramente indiziaria di tale strumento accertativo, in quanto fondato su presunzioni con valenza non relativa, bensì meramente semplice e dunque ex se insufficiente a sostenere la pretesa tributaria.
L’impatto di un siffatto orientamento interpretativo sulla questione che ci occupa è evidente: il redditometro costituisce, allo stesso modo dello Studio di settore, una statistica cui l’Ufficio può sicuramente fare riferimento, ma la cui applicabilità al caso concreto – prima ancora che l’efficacia della eventuale prova contraria dedotta dal contribuente – va misurata sul terreno del contraddittorio.
In questo senso, ben si spiega perché per lungo tempo la Corte di Cassazione abbia ritenuto che il redditometro costituirebbe una presunzione legale, ma relativa, mentre nei più recenti arresti interpretativi sia pervenuta, seppure con orientamento ancora non univoco, a ritenere che, al contrario, la presunzione su cui tale strumento accertativo si fonda ha caratteristiche di mera presunzione semplice, e come tale, alla stessa stregua degli studi di settore, deve superare il vaglio del contraddittorio: con l’ovvia conclusione che l’accertamento sarà legittimo solo se il contraddittorio è stato regolarmente svolto.
In tal guisa, le modifiche apportate al citato art. 38 indubbiamente avvicinano (fin quasi a sovrapporsi) il redditometro allo studio di settore: in pratica, il redditometro null’altro rappresenta che uno studio di settore relativo alla determinazione del reddito delle persone fisiche.