Il pagamento delle quote con i dividendi della società acquistata
di Ennio VialLa cessione di quote rivalutate non è abusiva se gli acquirenti sono terzi. Questo principio, ormai noto, lo abbiamo colto anche nella risposta ad interpello n. 242/2020.
Se alcuni dei vecchi soci sono presenti anche nella società acquirente, l’operazione è vista come circolare e, quindi, abusiva.
La risposta ad interpello n. 156 del 25.03.2022 affronta un caso interessante dove questo problema non esiste. Infatti, i soci vecchi rimangono nella compagine sociale; tuttavia, nessuna newco viene costituita.
Si tratta, infatti, di un caso di cessione di partecipazioni, previa rivalutazione, operata al fine di allargare la compagine sociale a nuovi soci, che in passato lavoravano come dipendenti ed ora come amministratori.
La compagine sociale iniziale è composta da quattro soci che detengono una partecipazione complessiva dell’80% circa. Queste quote erano state in passato oggetto di rivalutazione a pagamento.
Vi è l’intenzione di cedere il 40% agli ex dipendenti. Questi ultimi sono quattro e assumeranno, quindi, una quota del 10% ciascuno.
Poiché gli acquirenti non dispongono della liquidità sufficiente per l’operazione, l’acquisto avverrà con i dividendi percepiti dalla società dopo l’acquisizione del 40%. Ovviamente, sono stati stipulati accordi volti alla distribuzione dei dividendi, per evitare il rischio che gli utili vengano accantonati a riserva, impedendo, così, il pagamento delle quote.
Una volta che la somma dei dividendi raggiunge il corrispettivo pattuito, il pagamento viene interrotto. Ad ogni buon conto, dopo dieci anni, ci si ferma, anche se il corrispettivo non è stato raggiunto. Gli acquirenti ottengono quindi uno sconto sul prezzo che – si intuisce – è legato al fatto che, se in 10 anni non si riesce a produrre utili a sufficienza, forse il corrispettivo era sovrastimato.
I contribuenti ottengono dall’Agenzia delle Entrate due tipi di conferme.
In primo luogo, l’operazione non è considerata abusiva. Infatti, il pagamento del prezzo avviene con utili che hanno scontato la tassazione del 26%.
Inoltre, sussistono valide ragioni economiche di carattere extra fiscale rappresentate dall’esigenza di “aprire la compagine sociale a soci nuovi al fine di un graduale avvicendamento tra generazioni di professionisti in vista di un loro futuro ritiro, di monetizzare il valore della società da loro stessi creato negli anni passati, di garantire la continuità aziendale nonché concrete prospettive di conservazione e di crescita attraverso il coinvolgimento dei nuovi acquirenti”.
In secondo luogo, l’Agenzia rasserena i contribuenti in merito alla non sussistenza di un profilo di donazione nel caso in cui il prezzo della cessione venga ridotto a causa della insufficienza dei dividendi distribuiti nei dieci anni.
La Cassazione, con sentenza n. 10614 del 23.05.2016 ha evidenziato che serve l’animus donandi ossia la consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, sia per l’elemento oggettivo, costituito dall’incremento del patrimonio altrui e dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligazione. Nel nostro caso l’animus donandi manca perché lo sconto del prezzo è solamente eventuale.