Il pericolo di decadenza non legittima ex se l’avviso anticipato
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 710 del 10 marzo 2015, la CTP di Lecce ha statuito che l’imminente decadenza del potere di accertamento non giustifica l’emissione dell’avviso prima di 60 giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, salvo che l’Ufficio finanziario non provi che il ritardo dell’accertamento è dovuto a cause di forze maggiore o, comunque, a fatti e a circostanze ad esso non imputabili.
Nel caso di specie, in conseguenza di una verifica eseguita dalla Guardia di Finanza, un imprenditore pugliese era divenuto destinatario di un avviso di accertamento avente ad oggetto la contestazione di maggiori ricavi, ai sensi dell’art.41-bis del d.P.R. n.600/73.
Il contribuente aveva quindi impugnato il predetto avviso chiedendone l’annullamento ed eccependo, in particolare, la nullità del medesimo per violazione degli artt.10, co.1, e 12, co.7, dello Statuto del Contribuente, in quanto la notifica era avvenuta prima del decorso di sessanta giorni dalla consegna del PVC.
Costituitosi in giudizio, l’Ufficio delle Entrate aveva obiettato che l’emissione anticipata dell’atto era stata determinata da motivi di “particolare urgenza”, posto che il rispetto dei 60 giorni avrebbe provocato la decadenza dal termine per l’accertamento, previsto dall’art.43 del d.P.R. n.600/1973.
Orbene, la CTP chiamata a pronunciarsi nel caso in esame, dopo aver osservato che il PVC era stato consegnato al contribuente il 22 ottobre 2013 e che l’avviso era stato notificato il successivo 13 dicembre, quindi dopo solo 52 giorni, ha ritenuto che l’approssimarsi della decadenza dal potere di accertamento non è circostanza idonea e sufficiente “a superare un’ipotesi di nullità che è a presidio di una garanzia costituzionale del contraddittorio e del diritto di difesa, riconosciuti al contribuente” (principio espresso da SS.UU. Cass. n. 18184/13).
Invero, il citato comma 7 dell’articolo 12, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente“, qualifica la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi dell’art.10, co.1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica (si vedano Cass. n. 3559/2009, n. 21070/2011 e n. 6627/2013).
Prescrivendo la norma de qua, una forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza non può essere emanato l’avviso di accertamento, essa dispone di fatto un intervallo temporale destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente all’eventuale emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale (strumento diretto non solo a garantire il contribuente medesimo, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso).
Va da sé che l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’art.12, co.7, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, determina l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso temporale previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare), cioè di attivare il contraddittorio procedimentale.
Anche la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza“, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio, non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: “l’uso del termine “motivata” non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento” (cit. SS.UU. Cass. n. 18184/2013).
Ne deriva che a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine: spetterà all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.
Poiché nel caso di specie, la CTP di Lecce ha ritenuto che “l’Agenzia si è limitata ad indicare l’imminenza del termine di decadenza come unica causa giustificativa della deroga, ma non ha provato che il ritardo dell’accertamento sia dovuto a cause di forze maggiore o, comunque, a fatti e circostanze ad essa non imputabili”, il ricorso dell’imprenditore è stato accolto.