Il piano attestato evoluto … funzionerebbe
di Claudio CeradiniVogliamo dedicare ancora qualche riga al tema della scorsa settimana, ben più centrale di quanto si possa immaginare per le sorti dei progetti seri di risanamento. Abbiamo provato ad ipotizzare di investire sul piano attestato (art. 67, co. 3, lett. d, L.F.), strumento che oggi ha il solo scopo di scongiurare che le operazioni che ne costituiscono esecuzione possano essere revocate dal curatore che fosse nominato nel successivo fallimento, ove le cose non andassero nel verso auspicato dal piano. Limitatamente a questo il piano ex art. 67, co. 3, lett. d) è sostanzialmente inutile. Lo si sa, la revocatoria fallimentare non spaventa più nessuno dopo che il periodo di sorveglianza è stato dimezzato ed il contesto normativo attenuato. Ma il piano attestato resta lo strumento più rapido ed economico che la Legge Fallimentare conosca, e sono sempre più convinto che sia lì che bisogna lavorare. E allora riprendiamo il discorso e cerchiamo di articolarlo in modo un po’ più preciso e circostanziato, tenendo conto soprattutto di quello che la Raccomandazione della Commissione UE del 12 marzo 2014, che tenta di ispirare una armonizzazione comunitaria delle regole di approccio alla fase precoce della crisi, contiene.
Dal punto di vista dell’operatività del piano attestato, e delle conseguenti modifiche della disciplina fallimentare, la Raccomandazione suggerisce alcuni spunti molto sensati. Al punto 6 già delinea gli aspetti più importanti, proviamo ad esaminarli, e a calarli nella nostra realtà.
Lo strumento deve riguardare solo chi “il toro lo prende per le corna subito”, in una fase precoce quindi della crisi. Sia chiaro, non debbono essere ammessi abusi e quindi le condizioni di crisi finanziaria devono essere acclarate, e non solo lamentate. Sono personalmente molto dubbioso che si possa immaginare un meccanismo automatico di attivazione, affidato ad una istituzione, terza rispetto all’imprenditore/debitore. Le aziende sono ognuna diversa dall’altra, meccanismi generalisti in questioni così delicate creano più problemi di quelli che risolvono. Il debitore si deve attivare, informato sulle caratteristiche dello strumento che gli si rende disponibile, e che gli offre una soluzione conveniente e poco dolorosa. È probabile che abbia bisogno, lui che stenta a vedere le difficoltà della sua creatura, di un, per così dire, invito. Gli interessati sono molti, fornitori, banche, fisco, quello che manca sono a volte le informazioni. E se parte delle informazioni di cui i SIC (Sistemi di Informazione Creditizia), l’archivio Centrale Rischi, il Tribunale, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS ed altri soggetti pubblici dispongono, di svariata natura, fossero istituzionalmente sistematizzate e rese disponibili ed intellegibili, così come altre, ad esempio attraverso il canale del Registro delle Imprese? Dove troviamo il bilancio di esercizio potremmo trovare anche altri elementi, di provenienza terza ed indipendente rispetto al debitore, ed aiuterebbero a comprendere meglio e subito la situazione. Probabilmente il fornitore coscienzioso, oltre che la banca semplicemente attenta visto che lei di sicuro le informazioni le ha comunque, sarebbero portati ad invitare il cliente debitore ad attrezzarsi, non appena le prime crepe appaiono.
Il questa fase il debitore manterrebbe il controllo. Egli da solo, o se serve stimolato dai creditori, che non vogliono perdere un cliente, ma nemmeno i loro soldi, potrebbe attivare un piano attestato di risanamento che contenga gli elementi che la Raccomandazione elenca al punto 15, e che ci permettiamo di invertire nelle priorità. È essenziale la lettera e) del punto 15, che assicuri l’esame delle condizioni di gestione di mercato e prodotto, una sostanziale revisione strategica e di marketing in altri termini, con i relativi effetti economici e finanziari anche sulle linee di costo, ma non solo, e la chiara evidenza del fabbisogno finanziario e delle risorse per coprirlo. E qui viene un ulteriore punto essenziale, affinché il risanamento non rimanga sempre e solo un esercizio professionale ed accademico. Al punto 27 la raccomandazione si occupa della nuova finanza, che in questo caso dovrebbe però passare di lato rispetto ai talvolta insormontabili ostacoli che gli artt. 182quater e quinquies L.F. pongono, anche correttamente, in un contesto in cui si presume che il problema ed il conseguente danno al sistema sia di dimensioni maggiori. La nuova finanza deve essere prededotta, senza discussioni o dubbi, e senza anche solo possibili conseguenze penali, sia fallimentari che di altra origine (si legga il TUB, Testo Unico Bancario). L’imprenditore, che solitamente si presenta in studio dichiarando di aver già immesso fino all’ultimo euro dei suoi risparmi in azienda, potrebbe meglio utilizzarli se sa, che a fronte del suo intervento in ricapitalizzazione otterrà molto ragionevolmente nuova finanza, e con l’uno e l’altra potrà coprire il fabbisogno, con certezza e rapidità che alle banche oggi è totalmente sconosciuta. Ci permettiamo inoltre di sperare che lo strumento introdotto con l’art. 15, D.L. 133/2014, così come sostituito dall’art. 7 del D.L. 3/2015, e che disciplina la società di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese e le modalità di utilizzo dei fondi a questo scopo destinati, possa essere di utilizzo sufficientemente diffuso, e quindi sinergico. Se vi accedessero anche le aziende che occupano meno di 150 dipendenti, gli effetti non potrebbero che essere positivi.
Il piano deve essere poi adottato, presentato, e reso obbligatorio dal voto dei creditori. Ma anche qui, se ascoltiamo le raccomandazioni quando sono sagge, ci sono elementi interessanti. La definizione di giudice contenuta al punto 5 è: “organo, anche non giurisdizionale, competente in materia di procedure di prevenzione, cui gli stati membri hanno conferito poteri giurisdizionali e le cui decisioni possono formare oggetto di ricorso o riesame dianzi a un’autorità giudiziaria“. Non vorremmo osare, ma noi l’attestatore l’abbiamo, deve essere indipendente, così come il Commissario Giudiziale dopo, e nessuno mi potrà mai convincere che oggi “due funzionino meglio di uno”. Verifichi l’attestatore la correttezza del piano, la rispondenza dei contenuti ai requisiti di legge (tanto lo deve fare comunque), e riceva l’attestatore i voti dei creditori, emettendo il giudizio di omologazione. Il giudizio dell’attestatore sia impugnabile ove ve ne fosse materia, ma altrimenti possa il piano correre senza i rallentamenti che il percorso giudiziale impone per definizione. Il ricorso allo strumento dovrebbe portare con sé anche, per un periodo limitato – che il punto 13 della Raccomandazione definisce inferiore ai quattro mesi – la sospensione delle azioni esecutive. La proroga, in circostanze particolari ma mai superiore ai 12 mesi, potrebbe essere lasciata alla valutazione dell’attestatore.
I costi di questo approccio sarebbero limitati, e su questo il legislatore imponga pure tabelle cui i professionisti ed attestatore debbano attenersi nella determinazione dei loro compensi, che poi però non siano più messi in discussione come accade sistematicamente oggi in caso di insuccesso del piano.
Si puniscano gli abusi. Comprendo che è difficile tradurre in norma la business judgment rule, ma se il rischio di impresa non si può eliminare né punire, subisca conseguenze anche pesanti l’imprenditore che approfittasse colposamente, o peggio dolosamente, dello strumento.
Lo abbiamo già detto ma lo ricordiamo, sarebbe importante che il debito tributario, da un lato rientrasse nei ranghi e non costituisse fattispecie particolarissima e intoccabile come è l’IVA oggi, e dall’altro accedesse automaticamente in questi casi alla rateazione tributaria straordinaria delle 120 rate mensili disciplinata dall’art. 19, co.1quinquies, D.P.R. 600/1973, ritenendosi per legge verificate, sia le ragioni “estranee alla propria responsabilità“, sia anche i parametri di accesso.
Tutto questo, è ovvio, solo nei casi in cui il risanamento intervenga imponendo falcidie limitate e magari contestuali ricapitalizzazioni. Quando la questione fosse più grave è chiaro che il percorso giudiziale sarebbe ineludibile.
È una questione di equilibrio. Quando il problema è piccolo, e con lui il danno arrecato al sistema, velocità, efficienza e flessibilità sono determinanti per risolvere la crisi e evitare maggiori danni. Quando il danno, la LGD come l’abbiamo definita tempo fa, diviene rilevante, allora il diritto ad un percorso più tutelato e di maggior garanzia deve prevalere.
Più ci penso, e più mi convinco. Sarebbe una grande sfida, coinvolgente per tutti.
Speriamo di averne l’occasione.