Il rapporto di lavoro sportivo nella giurisprudenza
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoLa sezione lavoro della Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 20 marzo 2019, confermando la sentenza di primo grado, ha stabilito come il requisito della non professionalità e non commercialità sia il tratto qualificante per attingere alla disciplina dell’esenzione fiscale (per i redditi degli addetti) e contributiva prevista per i compensi sportivi dal disposto di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.
La decisione è stata assunta sul gravame di una associazione sportiva dilettantistica avverso la sentenza del Tribunale resa su due opposizioni riunite.
Quanto alla prima, avverso avviso di addebito per contributi dovuti a titolo di Gestione ex Enpals in relazione alle posizioni lavoristiche di cinque istruttori contestando il verbale di accertamento Inps che aveva escluso l’operatività del regime ex articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir, in quanto l’attività di essa ricorrente non differiva da quella di un comune soggetto esercente l’attività commerciale e nelle prestazioni dei collaboratori erano individuabili gli indici della professionalità quali l’abitualità, la non marginalità dei compensi ed il possesso di specifiche conoscenze tecniche.
Quanto all’altra, avverso avviso di addebito con cui l’Inps gli aveva intimato il pagamento di somma per contributi minori (malattia e maternità) dovuti a titolo di Gestione Aziende con lavoratori dipendenti “e svolgeva difese analoghe a quelle sviluppate nella prima opposizione”.
Le due opposizioni, riunite, erano respinte in primo grado per non avere l’opponente “dimostrato il requisito costitutivo del diritto all’esenzione contributiva ravvisabile nella preordinazione dell’attività svolta dalla ricorrente allo svolgimento di eventi oggettivamente dilettantistici”. Il Tribunale richiamava una pronuncia della Corte ligure che ancorava il dilettantismo allo svolgimento dell’attività sportiva caratterizzato “dall’assenza di interessi economici o più genericamente di guadagno”.
La Corte riteneva, con ampia e circostanziata motivazione, che “la finalità sportiva dilettantistica deve qualificarsi non solo rispetto all’attività sportiva curata, ovverosia rispetto al riferirsi di essa a sportivi professionisti o a dilettanti”.
Nel caso di specie, occupa un piano di esame privilegiato “l’attività dell’organismo sportivo nel suo complesso anche in relazione all’interferenza di esso con il mercato e la concorrenza con imprese di taglio più apertamente commerciale”. Il che equivale a dire che vanno apprezzate le caratteristiche che equiparano l’associazione ad un ente commerciale.
La dichiarata finalità dilettantistica per essere riconosciuta deve giovarsi di riscontri probatori che marcano la natura dilettantistica soprattutto “nei termini di estraneità rispetto al coinvolgimento di significativi interessi economici”.
L’indagine è sollecitata qualora il quadro restituito dalla rappresentazione fattuale è quello dello svolgimento “di attività di mera cura dell’esercizio fisico (fitness; aerobica; body building; ginnastiche terza età etc., secondo quanto si legge nella richiesta di iscrizione al C.O.N.I.), come tali gestibili anche in forma spiccatamente commerciale“. La descritta tipologia disvelerebbe un interessamento “economico profittevole” dell’attività sportiva.
La Corte di legittimità ha individuato nello svolgimento di attività senza fine di lucro, il requisito per il godimento del regime agevolativo, ritenendo insufficiente al fine del trattamento agevolato il dato dell’affiliazione al Coni (ex multis Cassazione n. 12352/2018; Cassazione ordinanza n. 10393/2018; cfr. Cassazione ordinanza n. 28175/2017). Il contribuente che reclama l’applicazione del regime agevolativo deve dare prova, quando sul punto vi è contestazione, della sussistenza dei presupposti che legittimano la richiesta di esenzione o della agevolazione (Cassazione ordinanza n. 796/2018; Cassazione ordinanza n. 10393/2018).
Il Collegio di appello osservava che l’appellante non aveva dato prova degli elementi atti a “rivelare la natura non commerciale dell’attività svolta”.
Indimostrata era la partecipazione degli associati alle assemblee, le fotografie prodotte non confermavano la “vicenda associativa” ma riproducevano solo una aggregazione di persone; il dato dimensionale dei locali palestra era indicativo e non per la modestia, come voluto dall’appellante che lo annotava, considerato il tipo di attività che non richiede grandi spazi; parimenti le entrate documentate dall’appellante, tutt’altro che modeste.
Di contro, depone per il non corretto inquadramento come associazione la pratica tipicamente commerciale di richiedere corrispettivi specifici per l’utilizzo della palestra e per usufruire delle prestazioni degli istruttori. Inoltre, era dato implicante la commercialità dell’attività l’organizzazione di corsi nei mesi estivi come dichiarato in dettaglio dal presidente dell’associazione appellante, corsi svolti all’evidenza non in favore degli associati ma di veri e propri clienti in virtù di specifici contratti.
Nel caso di specie, non solo difettava la prova della “non commercialità” ma erano emersi elementi significativi della “commercialità” dell’attività svolta dall’associazione.
Inoltre, evidenziava il Collegio, il primo Giudice dopo aver escluso l’operatività dell’esenzione contributiva invocata dall’appellante, non aveva esaminato l’assunto della ricorrente – appellante secondo cui per i lavoratori iscrivibili erano dovuti solo i contributi per maternità. L’appellante non aveva impugnato la sentenza nella parte in cui aveva omesso l’esame di tale questione, pertanto sul punto si era formato il giudicato.
In definitiva, fermo il distinguo tra attività sportiva senza scopo di lucro ed attività commerciale avente ad oggetto lo svolgimento di attività sportiva, per potersi davvero parlare di dilettantismo, la finalità sportiva debba essere perseguita con modalità tali da far emergere l’assenza di interessi economici lucrativi o più genericamente di guadagno patrimoniale, sottesi all’attività stessa.