Il redditometro tra giustificazioni e nesso eziologico: ancora una pronuncia di merito a favore del contribuente
di Massimo Conigliaro
Due principi interessanti ribaditi dalla C.T.R. Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 50 del 10.7.2013, Sez. X, (Pres. Tito, Rel. Friso) che dirime alcune questioni assai dibattute, con riferimento al c.d. nesso eziologico tra spese sostenute e giustificazioni addotte dal contribuente nonché con riguardo alla impossibilità di “spalmatura” degli incrementi patrimoniali a ritroso, anche dopo il 2009 per le annualità precedenti alla modifica normativa.
Sul nesso eziologico
E’ noto il principio contenuto nella sentenza n. 6813/2009 della Corte di Cassazione (pronuncia peraltro, ad oggi, isolata) in virtù della quale il contribuente non può limitarsi a dimostrare l’esistenza di adeguate disponibilità, ma deve provare che quelle “specifiche” disponibilità siano servite a finanziare quelle “specifiche” spese. In un precedente intervento su EC-News (Nel redditometro spazio alla ricerca del nesso eziologico), in contrapposizione alla tesi della Suprema Corte era stata segnalata la sentenza n. 195/37/13, della Commissione Tributaria Regionale di Roma, nella quale era stata accolta la tesi difensiva del contribuente che con la documentazione prodotta aveva dimostrato come gli acquisti fossero stati effettivamente finanziati con le risorse erogate dai genitori, anche se parecchio tempo prima.
Sul punto sembra che le Commissioni di merito stiano percorrendo una strada diversa da quella delineata dalla Corte di Cassazione.
Anche nel caso trattato dalla C.T.R. Friuli Venezia Giulia è stato ribadito che non occorre alcun nesso eziologico (ovvero alcuna corrispondenza) tra spese sostenute e disinvestimenti: il contribuente ha adeguatamente assolto il proprio onere probatorio, laddove produca una tabella di riepilogo dove individuare e leggere le fonti dei singoli incrementi patrimoniali che risultavano in linea con le spese sostenute. “Prova – si badi bene – da non cercarsi nella corrispondenza, come sembra sostenere l’Ufficio, tra investimenti e disinvestimenti effettuati con le medesime risorse, che diverrebbe una richiesta diabolica – si legge nella sentenza della C.T.R. Friuli Venezia Giulia – dovendosi invece limitare a dimostrare all’Ufficio la fonte che avrebbe reso possibile l’investimento. Se ora gli estratti conto della banca, i movimenti patrimoniali effettuati nel periodo con la S.r.l. … come pure le spese patrimoniali si leggono in questa ottica, la ricostruzione offerta dal contribuente diventa logica e condivisibile, non essendo frutto di un esasperato ricorso a tabelle e modelli statistici, troppo speso non aderenti ad una realtà con la quale deve confrontarsi e non scontrarsi.
In termini analoghi si era espressa in precedenza la C.T.P. Reggio Emilia (sentenza n.279 del 9.10.2012) evidenziando che la dimostrazione delle maggiori uscite, presuntivamente dedotte dalla differenza tra il reddito determinato, o determinabile, sinteticamente, e quello dichiarato, può essere giustificata dalle maggiori entrate derivanti da riscatti di polizze previdenziali, ovvero da disinvestimenti finanziari, senza che sia necessario correlare temporalmente le maggiori uscite con le maggiori entrate.
Incrementi patrimoniali
Altro tema interessante trattato dalla C.T.R. Friuli Venezia Giulia riguarda l’impossibilità di “spalmatura” degli incrementi patrimoniali a ritroso, anche dopo il 2009. In particolare la sentenza n.50/2013 precisa che l’Agenzia delle Entrate non può prendere come riferimento, ai fini dell’accertamento sintetico per anni precedenti, incrementi patrimoniali avvenuti a decorrere dall’anno 2009, in ragione della sopravvenuta modifica normativa del D.L. n. 78/2010. Infatti, sino al 2008, la spesa patrimoniale si presume conseguita con redditi formatisi, per quote costanti, nell’anno dell’investimento e nei quattro precedenti; dal 2009 in poi, la spesa viene imputata quale maggior reddito nell’anno del suo sostenimento. Per questo motivo, è illegittimo l’accertamento dell’ufficio che, in merito all’annualità 2007, abbia considerato (“spalmandolo a ritroso”) un incremento patrimoniale posto in essere nel 2009.
Le ragioni del ricorrente emergono nella loro pienezza – si legge nella sentenza – nella misurazione delle quote per gli incrementi patrimoniali e nella loro determinazione, anche se va prima affrontato il problema sollevato dal contribuente in ordine all’applicabilità – al caso in esame – delle modifiche apportate all’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 dall’art. 22 del D.L. n. 78 del 2010, poi regolarmente convertito in legge. Norma quest’ultima entrata in vigore il 31.05.2010, quindi ben prima del settembre 2011 quando gli avvisi dei quali qui si verte venivano notificati. Doveva quindi trovare accoglimento, con gli ovvii effetti a far data dal periodo d’imposta 2009, perché veniva soppressa la presunzione sulla base della quale le spese per incrementi patrimoniali si assumono sostenute, in quote costanti, con il reddito dell’anno e dei quattro precedenti, in modo che le spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo d’imposta partecipano per l’intero alla determinazione del reddito presunto dell’anno dell’effettuazione dell’esborso. È una modifica che avendo effetti a caduta sui quattro anni precedenti, ben va ad incidere pesantemente sulla ricostruzione effettuata dall’Ufficio.
Nessuna possibilità, pertanto, di applicare a ritroso gli incrementi patrimoniali in favore del Fisco, mentre rimane valida l’opportunità– che approfondiremo ulteriormente in altri contributi – di applicare a ritroso i nuovi indici del redditometro, laddove più favorevoli ai contribuenti, così come avvenuto in passato per gli studi di settore e già ribadito da alcune pronunce di merito anche per gli accertamenti redditometrici.