Il regime del margine nel mercato dell’automotive europeo
di Davide De GiorgiRaffaello Fossati
La peculiarità che contraddistingue il c.d. regime del margine è sostanzialmente rappresentata dalla determinazione della base imponibile sulla quale si applica l’aliquota Iva prevista per la cessione del bene. La base imponibile in questa circostanza NON è determinata, come normalmente avviene per le altre cessioni, dall’intero prezzo di vendita, ma è rappresentata SOLO dall’utile che risulta a favore dell’operatore economico dopo la rivendita di un bene che aveva già scontato l’Iva in via definitiva. Da qui la denominazione di “regime del margine”.
I beni che transitano nel margine, hanno già scontato l’imposizione al consumo una prima volta. Questi beni si ritrovano parte di una nuova catena di operazioni commerciali che producono un (nuovo) valore aggiunto sul bene che, appunto per evitare duplicazioni di prelievo, viene tassato per il delta positivo.
Il logico corollario della tassazione “per differenziale” è rappresentato dall’indetraibilità dell’imposta assolta a “monte”, normalmente ammessa nel regime ordinario, per garantire la tassazione sul “delta” del valore aggiunto dell’operazione ribaltata.
Con l’ordinanza n. 11877 del 27 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha chiarito che nella particolare ipotesi di cessione di auto usate “intra-unionali” (già intra-comunitarie prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) da parte di una soggetto passivo che esercita professionalmente l’attività di autonoleggio e di leasing (cedente), è allocato in capo al contribuente (cessionario) l’onere di provare, a fronte di una contestazione dell’amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’accesso al regime speciale.
Sulla base di un orientamento consolidato i giudici nazionali rammentano che “il difetto di tale prova comporta l’inapplicabilità del regime invocato, indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, potendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull’aspetto sanzionatorio”.
Gli Ermellini continuano chiarendo che in ossequio al principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, il “rischio fiscale” ricade sul cessionario che, nei LIMITI imposti dal dovere di diligenza graduato in base alle concrete circostanze e alla posizione soggettiva professionale, deve verificare PREVENTIVAMENTE la regolarità sostanziale dell’operazione, e NON SOLTANTO la regolarità formale della fattura.
Si ricorda che le disposizioni previste dagli articoli 312-325 della Direttiva 2006/112, lette in combinato disposto con gli artt. 136 e 315 della direttiva medesima, restringono l’ambito di applicazione del regime d’imposizione sul margine di utile ai soli casi in cui il soggetto passivo rivenditore abbia acquistato il bene d’occasione da un operatore che non aveva diritto alla detrazione dell’Iva pagata a monte e, di guisa, l’aveva incorporata nel prezzo della cessione a detto soggetto passivo rivenditore.
Ma vi è di più. Il regime in commento non può essere applicato nemmeno nel caso in cui il (primo) cedente abbia detratto anche solo parzialmente l’Iva a monte. A questa conclusione è giunta la Corte di Giustizia nella sentenza relativa alla causa C-160/11 del 19 luglio 2012.
I giudici europei, interpretando restrittivamente la normativa europea, sulla base di una lettura “tassativa” del regime del margine (da considerare una deroga al generale meccanismo applicativo dell’Iva) chiariscono che a nulla vale soffermarsi sui problemi di “doppia tassazione parziale”, in quanto, il regime del margine è applicabile solo nei casi tassativamente previsti, che comportano l’impossibilità di esercitare totalmente il diritto alla detrazione del tributo pagato sul prezzo di acquisto (dal primo cedente). Il problema della “doppia tassazione parziale” a giudizio della Corte di Giustizia rientra nella competenza del legislatore nazionale e solo in tale sede si possono trovare i rimedi, senza snaturare il criterio letterale della Direttiva.