Nel caso di conferimento dello studio professionale in un’associazione professionale (anche volendo sopravanzare la chiara versione letterale del nuovo articolo 177bis, comma 1, Tuir, come già sopra rappresentata), non verificandosi alcun avvicendamento di categoria reddituale, persistendo senza soluzione di continuità il reddito di lavoro autonomo, si deve ritenere, anche in virtù della chiara versione letterale della norma (il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente), che persista il medesimo regime fiscale di irrilevanza del bene strumentale nella doppia accezione sopra rappresentata (assenza di rilevanza impositiva e indeducibilità dell’ammortamento).
Tale articolazione di regolamento fiscale è stato previsto, quando ancora non erano rilevanti le plusvalenze realizzate nel reddito di lavoro autonomo, per cui appariva lineare la totale assenza di effetti fiscali correlati ai beni usati nell’esercizio dell’arte o della professione provenienti dal patrimonio personale o ricevuti gratuitamente. Con l’introduzione della rilevanza a regime delle plusvalenze potrebbero verificarsi degli effetti distorsivi, dal momento che, anche tali beni, possono generare delle plusvalenze che, in mancanza di un qualsiasi costo fiscalmente riconosciuto a monte, verrebbero a corrispondere con l’intero corrispettivo percepito, inclusivo anche del valore temporalmente raccordabile alla sfera privata del professionista/artista.
Apparirebbe, quindi, più coerente con le complessive conseguenze impositive sopra rappresentate, l’adozione, anche nel reddito di lavoro autonomo, di un riconoscimento fiscale dei costi, secondo le coordinate disciplinari previste nel comma 3 bis, dell’articolo 65, Tuir, che raccorda alle prescrizioni del D.P.R. 689/1974 (a mente del quale “I beni mobili strumentali, raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e secondo i coefficienti di ammortamento in vigore dal 1 gennaio 1974, sono valutati in base al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri accessori di diretta imputazione”) il valore fiscalmente spendibile ai beni provenienti dal patrimonio personale dell’imprenditore e alle medesime fonti normative potrebbe venire raccordato il valore fiscale dei beni acquisiti gratuitamente (anche se in tal caso, non avendo l’esercente l’arte o la professione sostenuto alcun costo, provenendo il cespite da economie terze, andrebbe considerato precluso ogni diritto di ammortamento). Il quadro normativo attuale non contempla, però, nel reddito di lavoro autonomo, alcun raccordo con la predetta disciplina, prevista nel comma 3 bis, dell’articolo 65, Tuir, per cui alcun ribaltamento della medesima nel reddito di lavoro autonomo si rende oggi possibile. Ne deriva che, in caso di riorganizzazione dello studio individuale in associazione tra professionisti, il bene strumentale non potrà venire dotato di alcun costo fiscalmente riconosciuto.
Nel caso, invece, di conferimento dello studio professionale in una società tra professionisti soggetta al governo sia civilistico che fiscale delle società commerciali e, quindi, di sostituzione del reddito di lavoro autonomo in reddito d’impresa, in virtù della perentorietà della prescrizione dell’articolo 6, comma 3, Tuir ( “I redditi delle società…da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale sono considerai redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi”), sempre sopravanzando, per il momento, la rappresentata versione letterale del cit. art. 177 bis, comma 1, Tuir), almeno per i beni provenienti dal patrimonio personale del professionista si potrebbe ritenere consentito raccordare, al citato comma 3bis, dell’articolo 65, Tuir, una latitudine disciplinare più aderente alla ratio della norma (che alla sua stretta versione letterale) e perseguire una più logica coerenza impositiva, ammettendo, una volta che il bene viene a raccordarsi con il regime d’impresa a seguito del subentro allo studio individuale della società tra professionisti, il riconoscimento fiscale del costo, secondo i parametri del citato D.P.R. 689/1974. Tale soluzione consentirebbe, in primis, un più logico regime impositivo delle eventuali plusvalenze realizzate con la cessione di tali beni (che verrebbero a determinarsi al netto della residuale componente di costo privatamente sostenuta dal professionista) ed anche di perseguire una maggiore omogeneità di effetti fiscali, con il conferimento di un’impresa individuale (nel cui compendio aziendale partecipano beni provenienti dalla sfera personale dell’imprenditore) in società commerciale.
Anche la rigidità della norma sopra commentata (“il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine a quanto ricevuto…”), in tale caso non sembra poter costituire un’ostruzione insormontabile, in quanto nel computo del costo fiscalmente rilevante del compendio patrimoniale conferito appare possibile includervi (al momento del passaggio dal reddito di lavoro autonomo al reddito d’impresa) anche i costi dei beni strumentali provenienti dal suo patrimonio personale, prima allo stato latente perché esclusi dalle ormai immotivate (con l’introduzione della rilevanza delle plusvalenze) diverse dinamiche fiscali di governo del reddito di lavoro autonomo. Anche in ordine a tale questione, la riforma fiscale avrebbe bisogno di ulteriori correzioni e di più logici ammodernamenti normativi che consentano di perseguire un’autentica maggiore coerenza di sistema, eliminando ingiustificate discriminazioni di effetti fiscali a parità di condizioni (come appare essere il disconoscimento a qualsiasi titolo degli originari costi privati sostenuti dai professionisti/artisti, nonostante l’introdotta generale rilevanza fiscale delle plusvalenze nel reddito di lavoro autonomo).