27 Giugno 2024

Il regime fiscale della società di comodo e la sua manifesta incompatibilità costituzionale

di Luciano Sorgato
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Con la recente ordinanza n. 16631/2024, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di società di comodo con uno scrutinio che, si ritiene, travalichi l’originario fondamento causale pensato a giustificazione dello speciale regime fiscale.

Il caso ha riguardato una società il cui oggetto consiste nella realizzazione di costruzioni, la quale aveva addotto, a giustificazione del mancato conseguimento del reddito minimo normativamente presunto, la circostanza di non essere riuscita ad ottenere il rilascio delle autorizzazioni amministrative, occorrenti per poter avviare l’attività edificatoria su un  determinato suolo  e che, a distanza di molti anni dall’acquisto del terreno,  non era stato concesso, per cui essa veniva considerata  solo formalmente in vita. L’esistenza dei vincoli edificatori  erano noti alla società acquirente fin dalla data della stipula dell’atto di trasferimento, per cui il mancato avvio dell’attività edificatoria doveva ritenersi imputabile a una consapevole scelta imprenditoriale; inoltre, nemmeno in corso di causa la società aveva dimostrato che il mancato raggiungimento della soglia minima di reddito presunta dal legislatore fosse dipeso da situazioni oggettive (così testualmente il giudice di cassazione nei motivi della decisione).

La CTR aveva respinto l’appello dell’Amministrazione finanziaria rilevando che “dall’esame della sentenza gravata” era emerso “indubbiamente” come i “giudici di prime cure avessero scrupolosamente esaminato e valutato la corposa documentazione esibita in atti dai ricorrenti, con cui, in modo incontrovertibile,  risultava provato il complesso iter urbanistico ed amministrativo intrapreso dalla società e dagli altri proprietari dei suoli interessati al piano di lottizzazione, nonché il diniego del  Comune, per cause oggettive non imputabili alla Contribuente , di procedere alla realizzazione del suo programma imprenditoriale sul suolo edificabile…..Nel settore dell’edilizia  i tempi  si protraggono per decenni,  per motivi ascrivibili alla conciliazione degli interessi delle parti private interessate al piano di lottizzazione e alla lentezza dell’azione amministrativa pubblica, che coinvolge diversi livelli di governo (comunale, provinciale, regionale e nazionale).  Non è affatto ragionevole pensare che un’impresa nasca per restare immobile e non svolgere l’attività economica per la quale è stata costituita e raccordare a tale immobilismo, un assurdo risultato economico positivo, che, nel caso di specie, l’Ufficio si è limitato ad enunciare senza provare le modalità che avrebbero consentito negli anni 2006 e 2007 alla società di conseguirlo. L’Ufficio rivendica, errando, l’esistenza di una corrispondente capacità contributiva senza però indicare e dettagliare i presupposti impositivi e gli elementi costitutivi delle obbligazioni tributarie imputate alla società e ai suoi soci”.

La Corte di cassazione ritiene, invece, fondato il ricorso erariale in quanto, attraverso la disciplina delle cd. società di comodo (o società senza impresa o di mero godimento) si intende disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (come, ad esempio, l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci).  Il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali (cd. “test di operatività”), il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività di detti elementi patrimoniali di bilancio.

Nonostante con l’ordinanza in commento il giudice di Cassazione  abbia rinviato la controversia  al giudice di secondo grado per una verifca in ordine alle  effettive lungaggini burocratiche alla base dell’esimente oggettiva invocata dalla contribuente (perlatro già scrupolasamente vetrificate dal giudice di prime cure),  non si può rappresentare una netta contrarietà all’allusione operata dalla Corte di cassazione all’uso della disciplina fiscale delle società di comodo come deterrente all’impiego dello schermo societario.

A tal proposito, si ritiene di dover marcare come le norme tributarie (in quanto portatrici di vincolanti valori costituzionali), non possono prestare asservimento strumentale a meri obiettivi di politica finanziaria o ad obiettivi che non hanno un nesso causale diretto con effettive manifestazioni di capacità contributiva.

La Corte di cassazione riprende la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E/2007, ove viene rappresentato che la funzione della disciplina è “di disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società. In sostanza, la richiamata disciplina intende penalizzare quelle società che al di là dell’oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci, anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale”. Tale specifico  angolo valutativo della norma  si presta ad aspre critiche  per la manifesta irrazionalità che esterna, Innanzitutto non  trova fondamento l’assunto  per cui si avrebbe, in forza della semplice intestazione di quei beni ad una società commerciale, lo sfruttamento di più favorevoli norme dettate per le società e, quindi, l’elusione di obbligazioni tributarie altrimenti dovute, dal momento che il sempre più stringente condizionamento del diritto di deduzione dei costi in regime d’impresa hanno portato a ritenere inesistenti i benefici fiscali derivanti dall’assoggettamento dei beni allo statuto d’impresa (R. Lupi, “Modifiche alle società di comodo: norma antievasione o patrimoniale camuffata?”, in Dialoghi dir. trib., 2006).

L’obbligazione tributaria può raccordarsi con il solo paradigma costituzionale della capacità contributiva che, a sua voltà, dipende unicamente dall’effettività del fatto economico incapsulato dalla legge (articolo 23, Costituzione) in un predefinito presupposto d’imposta. Con l’obbligo impositivo non può essere disincentivato l’uso di alcun strumento giuridico, neppure continuando a trincerarsi dietro la giustificazione di ormai del tutto inesistenti regimi fiscali favorevoli. L’articolo 53, Costituzione prevede l’esclusivo raccordo dell’obbligazione tributaria con l’effettiva forza economica del contribuente e non per indirizzare l’uso dei modelli giuridici previsti dall’Ordinamento.

Dall’articolo 53, Costituzione, emerge con immediatezza  come la sua base ideale sia comune a quella degli articoli 2, 3 primo e secondo comma, 4, 41 e 42 Costituzione: le attitudini, le capacità, le iniziative e i beni della persona (più ampiamente di ogni entità che esprima soggettività di diritto) sono anche al servizio della collettività, ma nel contempo nessun interesse collettivo può sopraffare i diritti della persona; la cultura della solidarietà  non deve trascurare il primato che la  Costituzione raccorda alla persona. Non è la filosofia dell’individualismo, perché la persona è altresì portatrice di doveri di solidarietà, ma non è nemmeno la filosofia che in nome di un asserito preminente interesse della comunità alla trasformazione sociale (oggi riproposto come interesse fiscale), si debba ritenere consentito attenuare la considerazione e la tutela del singolo contribuente. Da una parte lo Stato richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (articolo 2, Costituzione), dall’altro “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (sempre articolo 2, Costituzione) e considera “compito primario” promuovere “il pieno sviluppo della persona umana” (secondo comma dell’articolo 3, Costituzione). Questa felice sintesi di solidarietà e garanzia della persona si ritrova pienamente configurata nell’articolo 53, Costituzione, che impone a “tutti” il dovere di concorrere alle spese pubbliche, ma solo in ragione della loro effettiva capacità contributiva, assunta a presupposto, parametro e limite massimo del dovere. L’obbligazione tributaria non potrà mai semplicisticamente derivare dalla soggezione all’autorità dello Stato, ma, proprio in quanto procede dalla collaborazione solidale delle persone, ogni persona deve essere in primis rispettata nella sua realtà specifica e, quindi, coinvolta nel dovere solo se e nei limiti in cui ciò corrisponda alla sua specifica capacità contributiva, intesa come perentorio limite alla discrezionalità del legislatore.  Non può, quindi, non apparire evidente come con l’obbligazione tributaria non si possa perseguire alcun obiettivo di deterrenza all’uso dello schermo societario.

Peraltro, in ordine all’uso di strumenti giuridici di protezione del diritto della proprietà (in primis salvagurdato dall’articolo 42, Costituzione) si deve anche considerare come per la Corte EDU, sentenza 25 giugno 2013, Gall c. Ungheria, ricorso n. 49570/11, la tutela della proprietà (anche perseguita attraverso los schermo societario), trova fondamento nell’articolo 1, Prot. 1 della CEDU che interdice ogni forma di sproporzione impositiva con sembianze di progressiva confisca del patrimonio.