In ogni caso, è importante segnalare che il divieto vale sia per il socio (non si applica mai infatti in questo caso la normativa sulla rideterminazione del valore delle quote) che per l’associazione. A quest’ultimo riguardo, è necessario osservare come il tema della rivalutazione della quota si lega con le problematiche connesse alla redazione del “rendiconto economico e finanziario”.
Negli enti associativi, infatti, la quota annuale versata dai soci costituisce la prima entrata di tipo istituzionale. Non è infrequente, specie negli enti di maggiori dimensioni – e, quindi, più strutturati dal punto di vista contabile – osservare che la quota associativa viene iscritta direttamente a patrimonio. Ciò in quanto può essere lo statuto sociale a prevedere le quote associative come elementi del patrimonio dell’associazione.
In queste ipotesi, se le uscite – come prevedibile, data l’assenza dei versamenti annuali dai soci che vanno direttamente a patrimonio – superano le entrate, l’importo delle quote versate nell’anno indicato nel patrimonio dell’associazione viene destinato alla copertura del deficit. Il risultato, di fatto, coincide con quello che si avrebbe se la quota associativa venisse iscritta tra le entrate e venisse poi “girata” a patrimonio solo la differenza tra entrate ed uscite. Le due metodologie si differenziano per il fatto che le quote associative “enucleate” all’interno del patrimonio dell’associazione si possono prestare forse più facilmente ad interventi di rivalutazione.
Per questo motivo è comunque importante – oltre che, come visto, obbligatorio secondo quanto previsto dall’articolo 148 del TUIR – predisporre correttamente il rendiconto annuale che, come detto, fornisce risultati sia sotto l’aspetto economico che quello finanziario. A quest’ultimo riguardo, non bisogna dimenticare che il risultato della gestione corrente fornisce un’informazione di per sé non sufficiente in merito all’andamento complessivo dell’attività. Può capitare infatti che nell’anno di riferimento siano stati effettuati investimenti rilevanti anche negli esercizi successivi e resi possibili grazie a risparmi effettuati in precedenza. Dare la notizia delle sole movimentazioni in entrata ed in uscita riferite all’unico periodo può non rappresentare un’informazione sufficiente circa il reale andamento dell’attività.
È, quindi, opportuno che, in caso di rappresentazioni contabili di sola cassa (si tratta delle situazioni più comuni e, sicuramente, meno strutturate sotto il profilo contabile), con contrapposizione delle singole voci di entrata e di uscita dell’anno, il rendiconto tenga conto del risultato delle gestioni precedenti. Questo dato può essere rappresentato come “avanzo” o come “disavanzo” derivante dall’esercizio precedente e riportato, rispettivamente, tra le entrate e le uscite.
La somma tra avanzo (o disavanzo) pregresso, entrate e uscite dell’anno dà un risultato che tiene conto, oltre che delle movimentazioni correnti, anche di ciò che è avvenuto negli anni precedenti. Se non ci sono impegni di tipo economico (ad esempio, finanziamenti da parte dei soci, incassi anticipati di quote associative e così via), il risultato della gestione corrente, computato grazie anche agli avanzi o disavanzi delle precedenti annualità, deve coincidere con la giacenza del conto corrente bancario a fine anno sommata con il denaro che risulta in cassa.
Questa rispondenza è, di per sé, una garanzia che, in passato, l’associazione non ha provveduto a rivalutazioni arbitrarie della quota associativa e che risulta quindi rispettato il precetto contenuto nello statuto. Se, invece, la quota associativa incassata dall’ente fosse stata in precedenza rivalutata, il risultato economico della gestione avrebbe portato ad una differenza rispetto all’esito della gestione finanziaria di cui il Consiglio Direttivo dell’associazione avrebbe dovuto dare evidenza in sede di formazione dei rendiconti annuali (con il rischio, quindi, di perdere le agevolazioni fiscali per un comportamento non coerente con le disposizioni statutarie).