24 Giugno 2015

Il riaddebito delle spese ai fini dell’IVA

di Marco Peirolo
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Il riaddebito delle spese è disciplinato, dal punto di vista civilistico, dalle norme in materia di mandato, le quali distinguono a seconda che il mandatario sia “trasparente” od “opaco”, in funzione, cioè, della spendita o meno del nome del mandante nei rapporti con i terzi.

Ai fini IVA, il riaddebito operato nell’ambito del mandato con rappresentanza è regolato dall’art. 15, comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633/1972, che esclude dalla base imponibilele somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”.

Il riaddebito effettuato in esecuzione del mandato senza rappresentanza presuppone, invece, che l’interposizione del mandatario non sia “trasparente”, siccome gli effetti delle operazioni compiute da tale soggetto non sono acquisiti direttamente nella sfera giuridica del mandante; a seguito, infatti, della “finzione” prevista dall’art. 3, comma 3, ultimo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, “(l)e prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario”.

In pratica, per questa tipologia di mandato, si presume l’esistenza di un doppio passaggio dei servizi, rispettivamente dal mandante al mandatario (mandato alla vendita) e dal mandatario al mandante (mandato all’acquisto), che implica la necessità di determinare una duplice base imponibile:

  • interna”, cioè relativa al rapporto tra il mandante e il mandatario, ed
  • esterna”, cioè relativa al rapporto tra il mandatario e il terzo committente o il terzo prestatore, a seconda che il mandato sia alla vendita o all’acquisto.

In particolare, l’art. 13, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che la base imponibile, per i passaggi di servizi dal mandante al mandatario o dal mandatario al mandante, è costituita dal prezzo di vendita pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione (mandato per la vendita), ovvero dal prezzo di acquisto pattuito dal mandatario, aumentato della provvigione (mandato per l’acquisto).

La disciplina esposta realizza la più complessa finalità di dare un assetto fiscale ai rapporti interni, tra mandante e mandatario, imperniato su una “finzione giuridica” che omologhi totalmente ai servizi resi o ricevuti dal mandatario quelli da lui resi al mandante o da quest’ultimo ricevuti. Ne consegue che l’equiparazione riguarda anche la natura ed il connesso regime impositivo della prestazione effettuata dal mandatario nei confronti del mandante o dal mandante nei confronti del mandatario, che non può essere ricondotta, ai fini IVA, ad una semplice attività di sostituzione personale nello svolgimento di un’attività giuridica, ma riveste lo stesso carattere della prestazione resa dal mandatario al terzo committente o dal terzo prestatore al mandatario.

Nella pratica, accade con una certa frequenza che le spese sostenute dal mandatario siano ribaltate al mandante con una maggiorazione (cd. “mark-up”), talvolta pattuita in misura forfetaria.

In questa ipotesi, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che il riaddebito, anche se operato con una maggiorazione, segue il trattamento IVA proprio del mandato senza rappresentanza (R.M. 11 febbraio 1998 n. 6/E), sicché il mandatario – in sede di fatturazione del passaggio interno del servizio – deve applicare il medesimo regime impositivo che caratterizza la prestazione ricevuta, salvo l’eventuale diverso trattamento dovuto alla diversa rilevanza fiscale dell’operazione. Per formulare un esempio, il servizio pubblicitario/promozionale reso al mandatario è soggetto a IVA, ma diventa escluso da imposta, ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, se riaddebitato al mandante non stabilito in Italia.

È opportuno osservare che la posizione della prassi amministrativa in merito all’irrilevanza del ricarico in sede di ribaltamento della prestazione al mandante è stata disattesa dalla giurisprudenza comunitaria.

Nella sentenza BGŻ Leasing, di cui alla causa C-224/11 del 17 gennaio 2013, riguardante il caso di una società di leasing che ha imposto al cliente l’obbligo di assicurare il bene acquisito in locazione e che ne ha sostenuto inizialmente il relativo costo per poi riaddebitarlo tal quale, è stato espressamente affermato che il costo riaddebitato mantiene natura assicurativa a condizione che non sia maggiorato (punti 68-70).

Al di là della questione del mark-up, un ulteriore limite applicativo della “finzione giuridica” che caratterizza lo schema del mandato senza rappresentanza è rappresentato dalla natura accessoria delle spese oggetto di riaddebito.

Se il riaddebito si considera accessorio, ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 633/1972, ad una prestazione principale, il suo trattamento impositivo risulta automaticamente “assorbito” da quello proprio dell’operazione principale, siccome “tutte le volte in cui ricorre il rapporto di accessorietà si deve negare che l’operazione accessoria sia suscettibile di avere, nei rapporti tra le parti dell’operazione principale, un trattamento fiscale, ai fini IVA, autonomo e diverso da quello previsto per l’operazione principale cui accede” (R.M. n. 6/E/1998, cit.).

Ritornando all’esempio precedentemente formulato, riguardante il costo del servizio pubblicitario/promozionale riaddebitato al mandante non residente, la natura “generica” della prestazione è obliterata dal regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie o all’esportazione poste in essere dal mandatario nei confronti del mandante se viene accertato che il riaddebito soddisfa i requisiti per essere considerato ancillare a quello delle cessioni.